Ecco, si ricandida
Berlusconi. Bah, in fondo era prevedibile. Assuefazione al potere,
nessuna voglia di finire in galera (come biasimarlo...), volontà di
stiracchiare ancora un po' i tessuti del tempo. Non si arrende. Non
può arrendersi. Lui, il creatore di un presente infinito di un
giovanilismo assunto a sistema, non può arrendersi. Vi sono, credo,
dietro questa scelta questioni personali e politiche.
I mercati crollano,
l'Europa trema, eppure io non riesco ad essere preoccupato più di
tanto. E questo mi preoccupa. Molti amici e colleghi sbraitano
intorno a me e forse hanno ragione loro. Ma io non riesco a sentirmi
preoccupato. Non solo perché non credo che vincerà mai. In realtà
sono preoccupato d'altro. Non penso, infatti, che la democrazia
rappresentativa, alla quale non sono affatto affezionato, sia in
pericolo a causa della candidatura disperata di un povero vecchio che
cerca tragicamente di evitare la galera. Il problema semmai è il
berlusconismo. Un'idea fortissima nella sua debolezza. Un'idea di
irrisione delle regole quali esse siano che si è insinuata
profondamente sotto la pelle del corpo elettorale. Il liberismo, in
fondo, portato alle sue conseguenze più estreme altro non è che la
formalizzazione debole di una sola regola: quella del più forte. In
questo Berlusconi è stato un maestro. Ha stravolto ogni visione
temperata del liberalismo ed ha imposto una vulgata estremista del
liberalismo. Lui era al di sopra delle regole perché era più forte.
Un estremismo liberista, dunque? Nemmeno da lontano. In quanto più
forte le regole le poteva piegare ad i suoi desideri in nome della
libertà. Libertà da, attenzione...non di. Ma davvero il
berlusconismo è stato un potere senza limiti? No, non lo è stato.
Nemmeno il nazismo lo fu. Figuriamoci il berlusconismo. Vi è sempre
stato un limite ben preciso al potere di quest'uomo: il consenso. Per
questo parliamo di berlusconismo. La capacità straordinaria di
creare intorno alla regola del più forte ed al disprezzo per tutte
le altre leggi, un doppio consenso, uno popolare ampio ed uno di
classe. Oggi entrambi queste forme di consenso, vacillano. Vacilla
quello popolare che ha sofferto mortalmente la mancanza fisica del
capo. La strategia era chiara: lasciare momentaneamente il potere al
governo dei tecnocrati per poi giocare una campagna elettorale
all'assalto delle manovre di austerità fatte da Monti. Quello che
Berlusconi non aveva preso in considerazione è stata l'importanza
della presenza fisica, quasi taumaturgica, del corpo del leader. Le
masse assuefatte alla politica spettacolo, da lui stesso creata, si
sono invaghiti in fretta di un nuovo guru mediatico e spettacolare:
Beppe Grillo. Non credo sia un caso se il personaggio politico più
in auge del momento sia un prodotto dell'industria
dell'intrattenimento, anzi credo sia il normale coronamento a venti
anni di berlusconismo. Grillo attacca il vecchio leader lo colpisce
duramente con le sue stesse armi. Lo ridicolizza lo sbeffeggia,
Berlusconi appare, di fronte al comico, un pugile suonato incapace di
comprendere. Proprio lui che per anni aveva fondato sulla derisione
dell'avversario (povera Rosy Bindi....) perde il confronto sul suo
terreno; tempo della battuta e populismo boccaccesco. L'assenza del
corpo spettacolarizzato/mitico/fisico del leader ha lasciato aperta una
voragine mediatica nella quale Grillo si è infilato a dovere
strappando a Berlusconi il monopolio della politica spettacolo. Vi è
poi un altro terreno sul quale Berlusconi perderà le elezioni ed è
quello della costruzione di un consenso di classe. Ce lo siamo detti
tante volte, non è mai stato amato dalle grandi famiglie del
capitalismo (straccione come le sue famiglie) italiano. Lo vedevano
come un arricchito, l'ultimo arrivato, il borghese senza quarti di
nobiltà che prova a comprarsi un titolo di nobiltà minore. Ed ,
infatti, non gli hanno mai concesso molto credito, neppure all'inizio
fino a giungere ad un'aperta ostilità che dura oramai da parecchi
anni. Ma il capitalismo italiano, si sa, non ha mai vissuto di grandi
industrie e di dinastie secolari; anzi senza l'apporto statale le
poche che abbiamo avuto la sfortuna di avere non sarebbero
sopravvissute ai loro fondatori...il capitalismo italiano, così come
la sua società è fatto di particolarismi. Piccole e medie imprese
in grado di competere sui mercati grazie a due fasi ben distinte
della nostra storia repubblicana: la via italiana ai bassi salari
prima e la svalutazione della lira poi. Ecco è stato in quel
sottobosco di imprenditori alla amatriciana che per anni hanno
accumulato ricchezze sottratte ai lavoratori ed al fisco, che si annidava
lo zoccolo duro del leghismo e del berlusconismo. Incantati dalla
promessa di una minore (addirittura nulla nei sogni più sfrenati dei dentisti di Padova...) fiscalità si sono inebriati
per anni delle promesse di leader improbabili, di acque del Po, di
canottiere e bandane, di musicanti falliti e di puttane, di
ostentazione di una volgarità che era anche la loro; fatta di
eternit e schiave del sesso da caricare sul macchinone intestato alla
ditta. Ecco nutriti dalla televisione si sono abbeverati a questa
fonte per anni. Poi, anche loro, sono stati colpiti inesorabilmente
dalla fine di questo sogno di immortalità del proprio fallo, fisico
ed economico. Non c'è pastiglia blu che regga. Il capitalismo
italiano è un malato terminale e non c'è promessa di baccanale che
tenga. La mancanza di lungimiranza l'incapacità di una classe
politica ed industriale che per decenni ha sperperato guadagni
ingiusti (vi è una certa ironia nel fatto che siano stati sperperati
dei guadagni ingiusti, a mio parere), un livello di corruzione e di
familismo tribale inaudito e che è cresciuto nel corso degli anni
del berlusconismo, hanno intaccato in profondità il tessuto civile
del paese, come un cancro. Ma soprattutto la cura da cavallo iniziata
dai tecnici ha avuto su questi poveri disgraziati l'effetto di un
caffè con il sale dopo una sbronza. Non hanno ancora vomitato, e Dio
solo sa cosa potrà accadere quando lo faranno, ma di sicuro in
questo momento anche solo l'idea di bere ancora gli da la nausea.
Non so cosa succederà
nel prossimo futuro, ma una cosa mi sembra piuttosto probabile:
Berlusconi non vincerà le lezioni. Allora perché l'isteria dei
mercati e dei governi di mezza Europa di fronte a questo annuncio?
Insomma se queste cose le so io vi assicuro che le sanno anche i
governi stranieri; quindi perché? Non ho una risposta ma credo di
poter immaginare uno scenario nel quale saranno ancora i governi
tecnici a privarci della restante democrazia rappresentativa erodendo
i diritti sociali. Questo è più o meno quello che è accaduto fino
ad oggi e non mi sembra che siano intervenute novità strutturali che
possano dire che il quadro è cambiato. Negli anni'20 e '30 la Terza
internazionale coniò il termine di social-fascismo. L'alleanza della
sinistra moderata con i regimi borghesi. Si accorsero, forse tardi
(ma è facile scriverlo oggi) che per sconfiggere il fascismo ci
sarebbe stato bisogno dell'aiuto anche delle forze moderate. Forze
moderate e in parte anche pezzi di classi popolari che divennero
anti-fasciste solo sotto le bombe alleate e dopo anni di guerra
disastrosa.
Anche oggi le forze
moderate si schierano apertamente con le borghesie finanziarie di cui
Monti è espressione diretta. Potremo chiamarla social-tecnocrazia.
Non leggo il futuro, faccio lo storico e per quanto mi ostini a
pensare che la storia sia la disciplina del futuribile, non leggo il
futuro. Una cosa è certa, se il blocco storico formato dalle classi
povere che stanno votando e voteranno i partiti della sinistra
moderata, sarà in grado di dare una forma al conato che prima o poi
erutterà dalla piccola borghesia in via di impoverimento, Berlusconi
sarà stato l'ultimo dei nostri problemi...Giolitti docet...