mercoledì 15 ottobre 2014

Le radici e le frane



Per vivere io faccio lo storico. Ma raccontare storie non è soltanto un mestiere. È più un modo di essere. Un'attitudine rispetto alla vita; uno storico cerca le radici, più o meno profonde, delle cose. Nulla avviene fuori dal tempo. Il prima ed il dopo sono, spesso, una bussola che ci orienta nella ricerca dei perché. Se capisco lo svolgimento di un evento, spesso, arrivo a comprenderne i motivi.
In questi giorni il paese è colpito dall'ennesimo disastro causato dall'esondazione di un torrente a Genova. Non è stata la prima volta e drammaticamente tutti sanno che non sarà neppure l'ultima.
Ecco il motivo di questa breve riflessione di natura storica sta tutto qui: capire perché; non solo perché è accaduto ma, avventurandomi in un esercizio letale per uno storico, spiegare perché sappiamo che accadrà ancora.
Per capirlo dobbiamo seguire un poco le radici profonde, andare un poco a ritroso nel tempo.
Nella primavera del 1962 in Italia è in carica un governo di centro-sinistra. Un fatto nuovissimo ed allora epocale. Per molti mesi si era dovuto lavorare sodo con gli americani per convincerli che il PSI al governo non avrebbe spalancato le porte ad un'invasione comunista. Detta così, pensando a cosa sarebbe divenuto quel partito nei decenni successivi, vien quasi da ridere o, forse, da piangere. Negli anni sessanta, tuttavia, il PSI era un partito serio e di sinistra; le derive ladronesche erano di là da venire. Anzi un 'ala importante del partito, guidata da Lombardi, decide di rompere con Nenni: loro al governo con i democristiani non ci sarebbero andati mai. Ma alla fine, grazie al lavoro di un uomo di grande pazienza quale era Aldo Moro il famoso accordo si fa. Pochi mesi dopo nel giugno del 1964 accadde un fatto di cui i cittadini italiani scopriranno i contorni solo anni dopo, nel 1967: ci fu un duro confronto tra il Presidente della Repubblica e l'allora capo dei servizi segreti militari da un lato, e Moro e Nenni dall'altro. Per riassumerla in breve Segni e De Lorenzo fecero capire senza mezze misure che erano pronti a mettere in atto un colpo di Stato se il centro-sinistra non avesse attenuato, e di molto, la sua azione riformatrice.
Cosa diamine combinavano Moro e Nenni per provocare quello che venne definito come il “tintinnare di sciabole”? Avevano nazionalizzato la produzione e la distribuzione dell'energia elettrica, era nata l'ENEL. Era davvero così spaventoso? In sé no ma lo era in prospettiva. Nonostante le ricche compensazioni accordate ai precedenti gestori privati, eh sì perché le aziende private mica furono espropriate ma comperate a volte anche con prezzi fuori mercato, la borghesia italiana entrò in fibrillazione. Attentato alla libera impresa gridavano a destra, socializzazione dei mezzi di produzione come in URSS tuonavano, sarà al fine del libero mercato che tanta prosperità stava portando al paese. Il fatto che il capitalismo italiano fino a quel momento fosse assistito dallo Stato come una balia con un lattante parve essere stato dimenticato; il fatto che la nazionalizzazione si fosse resa necessaria non solo per ragioni di natura strategica ma anche perché nelle aree povere del paese i nostri capitani d'industria non ci pensavano nemmeno ad investire, tutto questo fu tralasciato. Gridare al pericolo comunista era facile nel 1994 figuriamoci nel 1964. I due facevano sul serio, questo si cominciò a bisbigliare nei corridoi e nei salotti importanti, la FIAT era pronta a portare i capitali all'estero disse un ufficiale dei carabinieri che aveva il compito di monitorare la temperatura del grande capitale. Pensate ce ne saremmo potuti liberare allora!
Ma non fu tanto la minaccia della famiglia Agnelli a spaventare il governo; allora sapevano, altra cosa che poi abbiamo fatto finta di dimenticarci, che i nostri eroici costruttori di automobili fuori da questo balzano paese sarebbero sopravvissuti al massimo il tempo di una Duna.
Furono altre le forze che si agitarono in maniera parossistica: gli agrari. Questo dirà Moro rinchiuso nel “carcere del popolo” delle brigate rosse qualche anno dopo. Perché Moro avrebbe dovuto mentire di fronte al pericolo imminente della morte, che drammaticamente sarebbe avvenuta da li a pochi giorni, su di un argomento, a quel punto siamo nel 1978, relativamente secondario? Non mentì, infatti. I grossi proprietari terrieri erano stati tra i maggiori promotori di quei tristi eventi dell'estate 1964. Perché? Andiamo con ordine. Il governo Moro era stato fatto cadere in parlamento su un voto inerente una riforma della scuola; nulla di preoccupante. E allora cosa? Il dissesto idrogeologico. Ecco cosa agitava le notti dei proprietari terrieri del paese. Sì perché tra i vari assistenti di Moro ve ne era uno, un semplice ingegnere democristiano di cui ora, mi perdonerete, non ricordo il nome. Una specie di eroe senza nome. Un cattolico mascherato. Un uomo onesto. Nuovamente pensare alla Democrazia Cristiana come in grado di produrre qualcosa di non intimamente marcio, oggi, fa sorridere. Ma eravamo negli anni '60. C'erano bravi democristiani, pochi ma c'erano. Insomma questo nostro democristiano sta preparando una relazione sullo stato geologico del paese e in maniera meticolosa individuava tutte le aree del paese che non solo erano a rischio e che necessitavano interventi urgenti ma anche, e sono tante, quelle su cui non si sarebbe potuto costruire. Nulla e mai. Ecco cos'aveva fatto perdere il sonno ai nostri agrari latifondisti, sì perché la riforma agraria lanciata nel 1950 fu una barzelletta tragica, la geologia era loro avversa, la geologia maledetta di un paese ricco di fiumi e di colline fragili; maledetta geologia comunista!
E loro che già stavano comperando il macchinone e sognavano mignotte in ghingheri da pagarsi con i proventi delle aree potenzialmente edificabili? Questo piano non avrebbe mai dovuto vedere la luce. Ed, infatti, non se ne fece nulla. I governi di centro-sinistra persero la loro spinta propulsiva e di grandi riforme strutturali non se ne discusse più.
Gli anni '60 volgevano al termine ed in Italia apparse una nuova categoria di bestie feroci: i palazzinari. Molti erano gli stessi agrari di cui sopra che, scrollatasi il fango e la merda dagli stivali, diventavano eroici imprenditori del mattone. Non ce l'hanno mai avuto il fango sugli stivali son sempre stati dei parassiti ma mi piaceva l'immagine volutamente rubata al buon Natalino Balasso.
Disposti a tutto cominciarono a disboscare e costruire. E dove proprio non si poteva disboscare, incendiavano. A quel punto una concessione edilizia sulla cenere te la concedevano. Poi magari pagavi una mazzetta ed intere aree che sarebbero dovute rimanere intatte divenivano edificabili. I fiumi li si costringeva in argini di cemento e si disboscavano intere colline. In fondo è il progresso. La gente vuole la casa la mare ed allora ecco la casa con vista mare, no vista mare non basta, a pochi metri dal mare, di più si cementifichi l'arenile.
Stesso dicasi per le montagne e le valli.
Ecco, dunque, perché è successo e succederà ancora. Siamo ad Ottobre, dio ci scampi e liberi da un Novembre piovoso visto che contro i criminali né lui né tanto meno noi siamo stati in grado di fare alcunché.


giovedì 9 ottobre 2014

ISIS, 2 o 3 cose che so di loro...

Due anni fa mi trovai a scrivere un report sulla situazione siriana. Dopo un'analisi dettagliata di dati e interviste mi trovai a dire che per quanto Bashar al Assad fosse un leader debole e con scarse idee, i suoi oppositori interni mi sembravano pericolosi estremisti religiosi spinti oltre che dal fanatismo da un'idea transnazionale del conflitto tra Islam ed occidente che andava stroncata in maniera decisa. E per intenderci con decisa intendo militarmente decisa. Questa posizione attirò una serie di critiche e di veri e propri scontri verbali con vari esponenti della sinistra italiana; risposi a questi amici che erano degli imbecilli; oggi di fronte alle guerrigliere curde decapitate dalle milizie sunnite non posso che ribadire il concetto. Ma questo non è un intervento su quanto poco la sinistra europea abbia compreso del medio oriente.
Cos'è l'ISIS? Questo vuole essere il centro di questo breve intervento: credo che la definizione migliore che possa venirmi in mente è quella data da Carl Schmitt nella sua definizione del partigiano: un gesuita della rivoluzione che agisce al di fuori dei confini ed è, per questi motivi, instancabile e difficile da sconfiggere.
L'ISIS è un'organizzazione transnazionale (una federazione di molte sigle differenti, alcune ex avversarie dello stesso campo politico assorbite): questa sua trans-nazionalità gli è data da una sua caratteristica ontologica, la fede religiosa. Come ogni guerrigliero la propria fede, o ideologia a seconda dei casi, lo porta ad avere un approccio totalizzante e totalitario al mondo del politico; la politica è costruzione dell'identità; questo processo avviene sia in modo positivo, attraverso l'individuazione di una cultura e di un ehtos comune ad un gruppo, sia attraverso l'individuazione di un nemico. Quel nemico per l'estremismo islamico si chiama modernità. Non è semplice definire la modernità e non è mia intenzione tentare di farlo in questa sede ma tanto per intenderci qui si parla della maggiore acquisizione della Rivoluzione francese: la laicità, la divisione tra sfera pubblica e privata, e soprattutto ed in conseguenza di ciò, tra Stato e religione. Ecco questo passaggio è inimmaginabile per il radicalismo religioso. Attenzione non solo per quello islamico; uno degli ultimi attacchi filosofici portati alla modernità porta la firma di un eminente teologo cristiano Joseph Ratzinger. Per un estremista religioso Dio è la fonte prima del diritto, regola e informa cultura, politica e persino l'economia. Nulla può trascendere Dio, in quanto essere trascendente.
Per nostra grande fortuna l'estremismo cristiano in occidente è una forma minoritaria, seppur in aumento, della modalità in cui i cattolici vivono socialmente la loro fede; altro si potrebbe dire per alcune tendenze del protestantesimo. Questo non è accaduto e non accade, non in virtù del primato di superiorità di una confessione su di un'altra ma solo perché in alcuni paesi vi sono state le rivoluzioni liberali e socialiste che hanno radicato una cultura altra nelle coscienze di molti. Questo processo non è avvenuto nei paesi arabi; né in quelli di dominazione Ottomana né in altri. Le cause sono svariate e non abbiamo il tempo e lo spazio in questa sede per parlarne; di certo insieme ad una serie di fattori endogeni alle culture di quelle società non possiamo non nominare 5-6 secoli di sottosviluppo dovuto a dominazioni coloniali, in special modo quella turco ottomana.
Senza questo elemento culturale fondamentale non vi è processo di esportazione della democrazia che tenga; questo ritengo sia stato e sia alla base dei ripetuti fallimenti delle strategie americane ed europee degli ultimi 20 anni. Che la democrazia la si voglia imporre a suon di bombe o comprare a suon di primavere e di blog, quel sistema è alieno a quella cultura. Perché negli ultimi 20 anni questo si è fatto; si è tentato disperatamente di mutare la cultura e le tradizioni di interi popoli che basano la propria vita quotidiana su di un testo sacro e sulle sue innumerevoli interpretazioni. Prima che ciò accadesse, però, per circa mezzo secolo quello stesso estremismo islamico è stato foraggiato, coccolato fatto crescere ed utilizzato in funzione anti-sovietica. Ancora oggi vengono finanziati ed armati da paesi occidentali gruppi dell'estremismo islamico o del radicalismo neo-nazista in mezzo mondo. Il patriottismo del profitto vola laddove esistano gli interessi del capitale.
Nulla di strano, si sventra l'Ucraina lasciandola in mano a bande di barbari così com'è accaduto con la Libia e prima nei Balcani martoriati da anni di propaganda etno-fantascientifica. Sarajevo negli anni '80 del novecento era uno splendido luogo fatto di minareti, sinagoghe, campanili. Oggi grazie alla ricostruzione finanziata da sultani ed emiri sauditi le sinagoghe non esistono quasi più, le chiese cattoliche, soprattutto quelle di rito ortodosso sono state spazzate via, e le scuole coraniche insegnano il wahhabismo, la versione più radicale dell'islam sunnita. In compenso i corridoi logistici che attraversano quei paesi sono diventati estremamente economici; molto più economici del periodo Jugoslavo; stesso dicasi per il petrolio libico finito da mani italiane a quelle francesi ed inglesi; certo a patto che riescano mai ad estrarlo. L'Iraq di Saddam Hussein, quello in cui le donne andavano tranquillamente all'università senza velo in testa, parlava negli anni '90 di vendere il petrolio in euro invece che in dollari. Pare che il progetto sia stato rapidamente accantonato.
Quello che sta avvenendo oggi al confine tra Siria e Turchia è un riassetto imperialistico delle forze nazionali ed internazionali che agiscono in quei teatri; nulla di più. La Turchia riassapora nostalgie ottomane e vuol ricostruire una zona d'influenza imperiale; l'Iran è il principale partner degli US e sa che per essere assurto a questa posizione di privilegio, senza aver rotto con Mosca, qualche fio deve pur pagarlo. La Siria, e le alture del Golan, doveva essere questo fio; questo agnello sacrificale che gli US avrebbero portato in dono ad Israele in cambio della perdita di centralità di Tel Aviv in quella regione.
Cos'è dunque l'ISIS? Null'altro che il risultato perverso di spericolati esperimenti politici andati, forse, fuori controllo. L'ISIS è la scusa, il movente per intervenire in una regione ancora drammaticamente centrale da un punto di vista strategico. Attenzione, però, non v'è strategia alcuna. Si sono, nel frattempo, create le condizioni cui s'accennava poc'anzi, senza sapere in maniera precisa che fare. Anche perché il che fare si scontra con l'aporia insita tra un imperialismo ancora ancorato a forme nazionali ed un nemico-mostro, sfuggito ai comandi dei propri creatori, che ragiona e si muove sull'onda di un'antichità modernissima: il web e la rete come veicoli di un pensiero anti-moderno. Trovo beffardamente simpatico che i più accaniti combattenti del Jihad 2.0 siano spesso occidentali convertiti. Simboli viventi di quest'aporia, fuggono le proprie radici nazionali per abbracciare una fede globale; rispondono in maniera pre-moderna alla sfida della globalizzazione, trovano un elemento globalizzante. La democrazia rappresentativa soffre morente ai piedi di frau Merkel e decine di proletari europei o americani abbracciano l'Islam radicale. Alla storia non è mai mancata l'ironia.
Fino a qualche settimana fa questo quadro sembrava avviarsi verso un'evoluzione prevedibile: una qualche coalizione di volenterosi si stava formando avrebbero sganciato un po' di bombe messo in piedi un qualche cordone sanitario e si sarebbero spartiti quel pezzo di territorio che ad oggi abbraccia il confine tra 2 stati, uno fantoccio, l'Iraq, e l'altro in profonda crisi, la Siria. Poi, però, è avvenuto qualcosa, qualcosa, forse di non previsto: il PKK. Attenzione non i curdi. I comunisti del PKK. I curdi, infatti, i famosi Pesmerqa (per intenderci l'ala nazionalista del movimento Curdo) erano già stati coinvolti in quanto fedeli alleati US e la loro resistenza si era squagliata come neve al sole nel giro di poche ore; quando sei il servo di un padrone lontano ed assenteista la tua fedeltà viene meno, il sud Italia insegna.
Ed invece al confine tra Turchia e Siria sono apparsi come mitologici guerrieri dalle rocce delle montagne queste meravigliose schiere di comunisti. Comunisti; non chiamateli, per dio, in alcun altro modo; li ho conosciuti piuttosto bene sia in Italia che tra i loro monti e sono marxisti-leninisti.
Oggi la Turchia chiude le proprie frontiere ai civili in fuga lasciandoli massacrare dai terroristi sunniti; ma non fa solo questo. Vieta il passaggio ai guerriglieri del PKK che vorrebbero raggiungere i loro compagni in territorio siriano. Che i sunniti sterminino pure i comunisti del PKK a ciò che si possano risolvere 2 problemi insieme: entrare in territorio siriano, liberandolo col placet della comunità internazionale dalla minaccia sunnita, rivendicando poi un ruolo di potenza regionale,ed allo stesso tempo ci si liberi del problema del PKK. Come i sovietici sul lato destro della Vistola nell'ottobre del 1944 quando lasciarono che i nazisti distruggessero Varsavia prima di intervenire.
Ancora una volta: lo scontro in atto è scontro di classe che ha da tempo travalicato mere questioni nazionaliste; siamo di fronte a differenti strategie imperialiste, quella US e quella turca nella quale L'ISIS, i freedom fighters di ieri sono i terroristi di oggi; una solo cosa rimane intatta, pura e cristallina: i comunisti del PKK e la loro lotta.
Questa sera parlando con alcuni amici mi si diceva che un centinaio di anarchici europei stanno partendo alla volta del fronte per unirsi ai combattenti del PKK: forse in un mondo transnazionale per combattere e sconfiggere un fascismo religioso servono ancora le brigate internazionali. Forse è questa la risposta politica più adatta e migliore alla quale possiamo pensare; non dico che militarmente possa essere vincente sicuramente lo è politicamente e moralmente. Mentre i governi borghesi parleranno per altre settimane del che fare immobilizzati nelle loro cornici globali fatte di imperialismi a geometrie variabili, che i comunisti, ancora una volta, combattono.  

lunedì 26 maggio 2014

Sparare sul quartier generale!

La destra radicale, post o neo-fascista, cresce. I numeri sono piuttosto impietosi ed in alcuni casi, come quello francese, allarmanti. Il risultato francese era stato in qualche modo previsto ed era, quindi, in qualche modo atteso. Eppure vedere la sinistra francese annientata ed il FN primo partito fa un certo effetto inutile negarlo. Oggi incrociando gli sguardi di amici e colleghi francesi ho rivisto nei loro occhi la mestizia che tante volte velava i miei. Quando B. stravinceva quando la Lega Nord prendeva percentuali a doppia cifra. Oggi la situazione italiana è differente e questo un poco mi solleva. Solo un poco però. Non posso fare a meno di notare, appunto, l'avanzata di una destra radicale e violenta in molti paesi europei. Quasi per assurdo poi non posso non notare che sono, i paesi in cui queste formazioni si affermano maggiormente, quelli in cui la crisi economica si è rivelata meno drammatica. Non che non abbia colpito per carità ma certo non si può dire che la situazione francese sia simile a quella portoghese o che la Danimarca viva una condizione simile a quella greca. Che dire poi dell'Ungheria? Un paese che è stato isolato dal populismo del suo leader, anche lui smaccatamente di destra, che ha in qualche modo resistito all'ondata speculativa e che vede crescere oltre il 15% un partito neonazista e dichiaratamente antisemita. Manco da Budapest da molti anni (fui espulso dal paese per un fraintendimento, ma ora potrei tornare) ma me la ricordo alla fine del secolo scorso come una città aperta e tranquilla dove le persone passeggiavano per i pub si godevano le terme e i tramonti sui meravigliosi ponti. A Pest ci si godeva una fine estate meravigliosa; non ho mai avuto, nelle mie brevi giornate, l'idea o la percezione di un popolo di sanguinari nazisti..eppure è accaduto. Non sono mai stato a Copenaghen ma ho sempre pensato alla Danimarca come un paese aperto, democratico pure all'avanguardia; i danesi che mi è capitato d'incontrare sono sempre stati tutti dei simpaticissimi beoni e degli ottimi intellettuali educati in un sistema scolastico accessibile a tutti e qualitativamente splendido...eppure. Per non parlare della Francia dove sì certo l'intolleranza ed il fallimento della mixitè erano reali e tangibili ma dove c'erano e ci sono le radici delle democrazie occidentali; la Francia laica, la Francia del dibattito a sinistra nel maggio del '68 la Francia dove pure la destra divenne Nuova. Ogni volta che camminavo per Parigi le due anime di quella città e di quel paese, la rivoluzionaria e la conservatrice, mi si dipanavano davanti. A Sciences-po dove i figli della borghesia illuminata discettavano di Foucault o a Bobigny dove toccavi con mano l'esclusione sociale dei sans papier (anche li ho rischiato che m'arrestassero perché scambiato per un magrebino, e vallo a spiegare a quelli della Gendarmerie che sei uno storico italiano finito per caso in un corteo di protesta) e degli abitanti senza lavoro o dei giovani che parlavano slang incomprensibili. Insomma sicuramente la Francia ha vissuto e vive contraddizioni esplosive ma data la sua vitalità politica la tradizione ed il fermento culturale che noi italiani abbiamo sempre un po' invidiato ai cugini transalpini, nessuno si aspettava un tracollo simile e l'affermazione del FN. Insomma in tutti questi paesi, e si potrebbe menzionare l'Austria e anche l'Olanda per non parlare del Regno Unito che rischia di essere sempre meno Unito o citare il fatto che in Germani per la prima volta viene eletto un nazista dichiarato; in tutti questi paesi la destra radicale prende milioni di voti.
La cosa che un po' sorprende, o che forse non dovrebbe sorprendere, è che appunto tutti questi paesi non hanno vissuto al crisi come noi qui nel povero sud dell'Europa. Nessun ospedale ha finito gli antibiotici, nessun taglio drammatico o verticale delle pensioni, nulla di tutto questo. E quindi, perché? Perché non vogliono pagare i conti dell'austerità che non sta funzionando. In realtà chi dice che il voto ai partiti euro-scettici è un voto contro l'austerità ha ragione solo in parte. Mi spiego: l'uscita dall'Europa la rinuncia all'Euro come moneta non sovrana sono fumo, e lo sono per tante ragioni tra cui ragioni tecniche. Non basta un referendum. Ci sono trattati internazionali, che mi hanno sempre visto in disaccordo ma tant'è, che prima di essere sciolti necessitano anni. E l'Europa dei ricchi non ha molto tempo. Secondo alcuni analisti del FMI e di altri organismi governativi e non la crisi finanziaria non è affatto finita, anzi. Le ragioni strutturali che portarono alla crisi dei debiti sovrani nel 2009-2010 sono tutte ancora li, e sono più profonde e forti di prima. Secondo l'opinione di alcuni economisti la causa sarebbe la mancata regolamentazione dei mercati finanziari, mentre secondo altri analisti, l'ala più liberista sarebbe stato l'atteggiamento della Fed a porre le basi per una nuova bolla speculativa.
In breve ci si aspetta una nuova crisi, più forte di quella che abbiamo vissuto, nei prossimi 18-24 mesi. Ora non penso che gli elettori dell'estrema destra austriaca leggano e comprendano di cicli e anti-cicli economici (in realtà mi aspetto che leggano quasi nulla e capiscano davvero molto poco), ma so che in molti sono sensibili al richiamo della sopravvivenza che gli dice, saltiamo giù dal barcone prima che crolli, o meglio prima che vi tocchi pagare davvero i debiti degli altri paesi. I francesi del resto si rifiutarono di alleggerire il debito della repubblica di Weimar. Non andò gran che bene. I greci in compenso accettarono, dopo il 1945 dopo che la Wehrmacht aveva portato distruzione e morte in tutta la penisola, che la Germania non pagasse i suoi debiti. Non volevano creare un sentimento di rancore volevano, i greci, costruire un'Europa libera da guerre. Ah Angela se ti avessero fatto studiare per bene la storia...
Comunque sia la crisi sta tornando, per un motivo o l'altro e forse per entrambi, la destra estrema prende voti e radica sentimenti di paura e nazionalismo nei cuori degli europei. In compenso nei paesi del sud, Spagna, Grecia e Portogallo, avanza anche la sinistra. In Italia timidamente e con mille difficoltà arranca fuori dalla palude. Non malissimo, anzi. Il difficile viene adesso. Il difficile, e qui mi riferisco solo al mio povero paese, sarà convincere gli elettori del PD che l'austerità ingrassa padroni e fascisti anche quando e di marca PD, il difficile sarà convincere gli elettori del buffone che non basta strillare ma ci vogliono un'opposizione ed un'alternativa e che l'una senza l'altra non possono esserci e che a volte l'alternativa la devi costruire anche attraverso il compromesso paziente unito alle lotte intransigenti; spiegare agli elettori ed ai militanti PD e del M5S che non è necessario né il pareggio di bilancio né il salto nel vuoto del ritorno a nazionalismi isterici è una sfida talmente bella e difficile che merita di essere accettata.
Lo merita ad un patto: vi è un aspetto nella vittoria di Renzi che mi ha colpito (a proposito complimenti a lui ed al PD, chi dice sia stata una vittoria personale secondo me sbaglia di grosso): vanno cambiate le classi dirigenti. Il PD di oggi tra le mille distanze che posso avere con quel partito ha dimostrato che senza l'azzeramento completo della classe dirigente che ha gestito la fase precedente non si è, forse per fortuna, credibili. Quindi sparate, compagni, fuoco sul quartier generale, ora. Ora che si ha un alluce fuori dalla palude è il momento di chiedere la ritirata con disonore dei nostri vecchi leader. Farlo subito vuol dire aver compreso la portata della sfida e rilanciare su un terreno di alternativa, farlo subito vuol dire proporsi immediatamente come una forza politica interprete dei bisogni della classe (sarà vetero ma io un'altra categoria non ce l'ho...) in grado di fare nuovamente pedagogia, lotta e mediazione non in nome e per conto di, ma insieme a. In una parola vuol dire fare politica.



venerdì 28 marzo 2014

MI ha rovinato il cinema

Chissà che cazzo m'è venuto in testa quando ho deciso di fare lo storico. Il trapezista, mangia-fuoco, aiuto cuoco, ladro, qualsiasi altra cosa sarebbe stata meglio. Avrei potuto cantare sulle navi. Invece no. Non bisognerebbe mai indulgere alle passioni ideali che sorgono dopo i 30 anni. E invece ho fatto pure questo. Oramai ho passato i 40..so fare molte cose ma credo che, a questo punto, il mio mestiere sarà questo..almeno per un po'. Poi chissà magari un giorno il locale belle epoqué che volevo aprire quando ero ragazzino. Una cosa a metà tra il Cotton club e l'Harris bar di Casablanca. Maledetti pomeriggi estivi. Son stato distrutto dal cinema. Non sono un cinefilo per carità. Semplicemente quando ero ragazzino le TV di Berlusconi erano ancora in grado di trasmettere qualcosa di quasi decente. Spesso ad orari folli tipo le 3 del pomeriggio. Fine giugno, periferia di Milano, io avevo 8 anni e mia madre non mi faceva uscire che per lei era controra. Piccolo inciso la controra, per tutti coloro nati sopra il maledetto Po (speriamo si secchi...), è quel momento della giornata in cui fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa. Quindi si sta in casa e si fa la siesta. Seeeeee. Io son scappato dall'asilo a 4 anni perché non volevo fare il riposino, ho l'insonnia dal '91. Quindi stavo in casa e guardavo la TV. A quei tempi potevi addirittura lasciare un bambino da solo davanti alla tv di pomeriggio. Oggi impazzano schiere di mignotte sotto la doccia. A quei tempi no. E quindi via, di pomeriggio Casablanca di sera Sergio Leone con papà. Quando non trasmettevano spaghetti western grandi abbuffate di cannoni di Navarone, oche selvagge e l'immancabile Totò. Poi dici che son venuto fuori strano; mica è colpa mia. Quando cresci volendo essere Steve McQueen o sogni di gestire un covo di spie in Africa del Nord a suon di jazz, il disastro è annunciato. Quando prima di addormentarti ti metti davanti allo specchio, e sali sulla sediolina del bagno che allo specchio se no non ci arrivi bene e ti reciti: "Sai amico, in questo mondo ci sono due tipi di persone: quelli con la pistola e i coglioni, tu sei un coglione” non c'è niente da fare il tuo essere ne rimane in qualche modo impregnato. Poi hai voglia a metterci su un poco di cultura e di buone maniere raffazzonate qua e la. Il pistolero dagli occhi di ghiaccio ecco cosa vuoi essere. Sei Rick che vuol dire ad Ingrid Bergman: “ so che capirai..buona fortuna bambina!” E allora suonala Sam. Suonala un ultima volta. Come lo spieghi poi che ti viene il romanticismo infantile nei momenti meno appropriati? Il cinema m'ha rovinato il cinema. La prima sigaretta che ho fumato è stata una camel perché le fumava Bogart. Ho sempre amato Parigi per colpa di Brando. Poi ho scoperto che era pure un po' omosessuale e ci sono rimasto male. Non per lui. Cazzi suoi. Ma io a 15 anni ci ho costruito interi pezzi del mio immaginario erotico. A 16 volevo fare il postino per incontrare Jessica Lange. E poi vuoi mettere Sandokan? Salgari, l'accento a me viene ancora sbagliato ma me ne fotto, l'ho letto per colpa di mia madre che era innamorata di Kabir Bedi. E poi la fantascienza, ho cominciato a 9 anni a leggere Asimov perché mi piaceva Star Trek...non ci ho capito nulla e la trilogia sulla fondazione ho dovuto leggermela altre 2 volte..però vuoi mettere? Persino il trash poteva diventare uno spunto. A 12 anni ascoltai Mike Buongiorno dire che mentre tornava in America dall'Italia, dove aveva fatto il partigiano, sulla nave che prese da Genova misero su Moonlight serenade di Glenn Miller...altra grande epifania. Poi mi si chiede perché faccio lo storico...mah credo mi abbia rovinato il cinema. Perché poi, drammaticamente ed in età un poco più adulta. È arrivato quello sociale. Il neorealismo, se lo scopri a 22 anni e siamo negli anni 90, può impedirti di vivere serenamente. Da Rosi in avanti è stata tutta una fatica, una salita, o forse una discesa, disperata nei meandri delle disgrazie umane, politiche e sociali dei popoli. Nemmeno al cinema ci si poteva più rilassare. Niente, nessuno spazio era concesso ed allora i ricordi dei seminari sul cartone animato cecoslovacco mi raggiungono nella notte. Il realismo sovietico applicato alla pedagogia spicciola. A me piaceva Goldrake...no è imperialista. Maratone infinite di film vietnamiti, di pellicole LGBT, di documentari sulla cultura afro-americana nei ghetti di Potenza e di altre amenità che avrebbero distrutto l'anima e la mente di chiunque. Ho passato anni senza andare al cinema. Ora mi sono un po' affrancato ed ho reagito con una violenza inaudita: guardo zombie, fantascienza di serie z, horror su possessioni demoniache d'ogni genere, film catastrofici e pellicole senza ne capo ne coda e...mi diverto!
Certo ogni tanto, nei pomeriggi d'estate o nelle notti insonni torno a rivedermi Casablanca, poi vado in bagno prima di dormire e mentre esco, guardando di sfuggita lo specchio, mi recito...play it again Sam, sperando ancora di svegliarmi nei panni di Bogart...che ci devo fare? M'ha rovinato il cinema.

martedì 7 gennaio 2014

congiunture, crisi e amenità varie...

Il 2014 sarà l'anno della rinascita economica europea...l'hanno detto, promesso, giurato. Peccato lo facciano da almeno 4 anni. Poi la situazione, inesorabilmente, peggiora e le stime di crescita vengono posticipate all'anno successivo. Nel frattempo quest'anno vi saranno le elezioni europee. Il dibattito impazza. Ben 200 intellettuali facenti parte delle più disparate correnti della sinistra europea si scatenano in tentativi di sostenere o demolire la candidatura unitaria del leader greco Alexis Tsipras. La realtà è che nessuno, a parte piccoli personalismi terlizzesi scarsamente degni di nota, ha qualcosa da obiettare alla candidatura del maggior esponente di Syriza. Che il segretario della maggiore coalizione della sinistra greca, forte di circa un terzo dei voti, sia il candidato di un raggruppamento anche vagamente anticapitalista è assodato. Il problema sorge sulla definizione di anticapitalista. Questo, forse, accade perché non siamo ancora riusciti a definire sinteticamente la fase del capitalismo che stiamo attraversando e, di conseguenza, la natura di questa specifica crisi ci sfugge. Molte sono le caratteristiche nuove, o ammantate di nuovo, di questa fase dello sviluppo capitalistico che tracciarne una sintesi è divenuto una sfida nella quale la sinistra rischia di giocarsi non solo la propria identità, come già ampiamente accaduto alla socialdemocrazia, ma persino il proprio ruolo storico, come accaduto a quella rivoluzionaria. Il problema è piuttosto cogente dato che le descrizioni sintetiche sono necessarie alla politica per almeno due ordini di motivi sia come strumento analitico sia per poter trasformare quell'analisi in proposta quotidiana e di lungo respiro, sia tattica che strategica.
Questa, dunque, la fase da un punto di vista soggettivo; una sinistra dispersa e priva di una strategia. Una sinistra che ha vissuto di tattica per alcuni, pochi, anni successivi alla scomparsa del blocco socialista ma che è poi sprofondata nella sconfitta. Una sconfitta che è, come sempre, sia materiale che culturale. E non poteva essere diversamente. Incapace di comprendere i mutamenti profondi delle società ha smarrito la capacità anche solo di costruire cultura alternative al pensiero neoliberista. Nel suo ultimo intervento Negri ha sottolineato come questa tornata elettorale sia di importanza cruciale per la sinistra e di come non ci si potrà rallegrare per l'alto tasso di astensione previsto né tanto meno per l'avanzata delle forze anti-europeiste. Raramente mi è capitato di essere più in sintonia con Negri. Non è infatti rinchiudendosi dentro vecchi scemi nazionali ed a volte nazionalisti che si può oggettivamente pensare di portare una sfida reale ad un capitale sempre più globalizzato. E quelle forze anti-europeiste a cui si guarda come interessanti soggetti con cui dialogare sono spesso composte da elementi contigui al neofascismo che si cela dietro vecchissime coltri quali la non appartenenza agli schieramenti, la lotta contro i privilegi di casta acquisiti, innegabilmente acquisiti, dai partiti. Forse un modo per cominciare, o continuare, a ragionare di crisi e di sinistra è proprio ripartire da quest'ultimo verbo: acquisire. La cosiddetta casta, infatti, non ha guadagnato, non ha neppure conquistato dei diritti o dei privilegi. Li ha acquisiti. L'acquisizione è una forma di redistribuzione del potere autoreferenziale. Una forma di redistribuzione del potere da cui discende la modalità sociale di gestione/accaparramento della ricchezza. Per utilizzare un vecchio adagio caro a Said la modernità sancita dalla Rivoluzione francese ha fatto sì che la ricchezza un tempo legata al diritto di nascita divenisse essa stessa base fondante del potere oramai slegato dal sangue. L'acquisizione delle risorse era un diritto legato al sangue tipico delle società pre-moderne. È stata la rivoluzione francese ad invertire , ad effettuare una vera e propria rivoluzione copernicana, legando il potere al denaro e non viceversa. Il borghese diveniva potente perché ricco. Quello che, mi pare, stia accadendo oggi è una nuova inversione del paradigma; la scossa della rivoluzione giacobina ha permesso una mobilità sociale relativamente breve che è stata poi reiterata più in forme mitologiche che nella realtà delle dinamiche sociali. Da Marx a Bourdieu molti sono stati i pensatori che hanno sottolineato una tendenza del capitalismo, di quello nazionale prima e di quello globale poi, a sfuggire alla mitologia borghese della mobilità delle classi per ricreare un sistema di ceti.
Questa tendenza è divenuta più forte in quei paesi che hanno legato le fortune del proprio sistema economico ad un alto intervento dello Stato come in Italia. Questo intervento infatti se da un lato ha temperato alcune delle storture più inaccettabili del liberismo ha anche assegnato un enorme potere di gestione delle ricchezze, e quindi del potere, ad un gruppo di burocrati che si sono cristallizzati in una sorta di Secondo Stato, se mi si passa la similitudine con il ruolo giocato dal clero nella Francia del XVIII secolo. Vi sono stati degli aggiustamenti e degli scossoni anche forti a questo stato di cose. Scossoni sia chiaro quasi tutti interni alla classe/ceto borghese ultimo dei quali, per quanto riguarda l'Europa occidentale, è stato il movimento del '68. Per la prima volta sul finire del decennio '60 del '900 il meccanismo di reclutamento delle élite tornava ad essere basato sul capitale sociale e non più sulla meritocrazia che aveva contraddistogli anni dell'immediato dopo guerra. La recente apertura degli studi universitari alla maggioranza dei giovani appariva per ciò che realmente era: il reclutamento di tecnici specializzati che sarebbero stati, al massimo, addetti al controllo della produzione ed al superamento del fordismo. Contro questa tendenza si sono scagliati i giovani studenti affiancati per un poco dalla rabbia operaia composta soprattutto da ragazzi meridionali deportati al Nord. Che i primi siano riusciti a soppiantare la vecchia élite mentre gli altri abbiano patito una cogente e storica sconfitta è un dato, ad oggi, difficilmente contestabile. È stata la generazione contestataria e comunque borghese, uscita dalle aule dei principale atenei del paese, a divenire ceto/burocratico che ha materialmente gestito il tramonto del fordismo in economia e la creazione di un sofisticato meccanismo di acquisizione delle risorse pubbliche avviando al contempo i processi di privatizzazione della macchina pubblica con un repentino spostamento non solo di denaro e potere ma anche con una ridefinizione profonda del ruolo della burocrazia e, soprattutto, della politica. Il motivo che sottende questo processo di privatizzazione spiega, ovviamente solo in parte, la natura di questa crisi che è tutta congiunturale e rimane interna al capitalismo.
Questo processo politico a cui abbiamo accennato brevemente è stato accompagnato da una potente campagna culturale che dura da almeno 30 anni rispetto alle meraviglie del libero mercato e dalla necessità assoluta delle privatizzazioni di ogni asset pubblico. Per dirla in termini marxiani, però, questi sono aspetti sovrastrutturali che indicano la direzione in cui guardare se si vogliono comprendere i meccanismi interni dello sviluppo delle forze produttive. Senza andare a rispolverare la caduta tendenziale del saggio di profitto, che pure spiega ancora alcuni aspetti centrali di questo momento storico quali il proliferare di nuovi conflitti a sfondo imperialista, uno degli elementi centrali per comprendere forse un poco meglio questa fase è il concetto di accumulazione originaria. Secondo Marx attraverso l'esercizio del potere politico fu possibile creare le precondizioni necessarie alla nascita del capitalismo come sistema economico e sociale. La trasformazione delle terre comuni in private nell'Inghilterra del XVII secolo ebbe come ricaduta immediata la nascita di un nuovo proletariato, contadini poveri che dovettero mettersi sul mercato come mera forza lavoro una volta privati dell'accesso di sussistenza alle terre comuni, e di un mercato. Quegli stessi contadini che prima potevano ricavare dalle terre comuni alcuni beni di consumo erano, poi, obbligati a comperarli. Secondo Marx questo fu una specie di primo calcio, l'avvio del motore del capitalismo. In quanto tale avrebbe dovuto essere un evento unico e sostanzialmente irripetibile. Come ci insegna Balibar però il capitalismo non è la sola forma di produzione delle merci che esiste ma è solo quella egemone. Contemporaneamente ad esso sopravvivono o si sviluppano forme altre che a volte poco hanno a che fare con il capitalismo in strictu sensu; parimenti nelle sacche create dalle contraddizioni sociali del capitalismo stesso nascono forme di produzione di beni e servizi, come le cooperative, non pienamente capitaliste. In questo caso, senza entrare nel progressivo deperimento del capitale politico e sociale che un tempo era rappresentato dalle cooperative, è interessante soffermarci sul vero core della questione: la privatizzazione di ciò che era, o ancora rimane, patrimonio pubblico. LA privatizzazione, ad esempio, di un ospedale invera in un solo colpo la teoria di Marx sull'accumulazione originaria. Di colpo infatti privatizzando un edificio e tutte le macchine che si trovano al suo interno si procede ad una spoliazione di un mezzo di produzione e si creano una massa di nuovi proletari che dovranno vendere la propria forza lavoro al nuovo padrone. Il processo poi di creazione di un mercato è poi immediata in quanto tutti i cittadini che avevano maturato un pezzo di salario accessorio in forma di welfare stare diverranno di colpo clienti.

La crisi, credo, si possa leggere in questi termini. O almeno anche in questi termini. E se questi sono i termini il mio problema continua a non essere Tsipras o le istituzioni europee ma come, anche dentro ed introno quelle istituzioni siamo in grado di far rinascere il conflitto. Non tanto e non solo perché credo sia una parte ineludibile della politica ma anche solo come difesa democratica datosi che i fautori della fine della storia e della lotta di classe il conflitto lo operano ogni giorno...contro di noi...