Non so come ad un certo punto alzai gli occhi e incontrai gli occhi di Livia, ci salutammo, e in quel momento lo scoppio.
Sono
ancora a Lisbona. Città che, come sempre, mi piace. Mi diverte
andarmene in giro, mi piace dare al mio spagnolo un accento buffo.
L'altro giorno per la prima volta mi hanno scambiato per portoghese!
L'han fatto perché son gentili. Appena accelerano me li perdo. Ma
non c'è leggerezza in queste settimane. C'è tensione, c'è rabbia.
Cammino, cammino tanto. E senza accorgermene mi ritrovo spesso nei
luoghi del neofascismo internazionale che il regime salazarista,
insieme ad altri, ha cullato tra le colline di questa splendida
crosta belle
epoque.
Sotto la crosta c'è tanto altro. C'è il ricordo di quello che è
stato. E qui quel ricordo è, allo stesso tempo, attutito dall'ovatta
azulejos di questi edifici che si arrampicano su vicoli ripidi e
scoscesi, ed amplificato dai visi dei vecchi scavati dalla dittatura.
L'altra sera si rifletteva con un'amica rispetto ai diversi
atteggiamenti di fronte alla questione della memoria recente. Lei
ogni volta che incrocia una persona over 70 lo pensa come un
perseguitato che avrà subito indicibili angherie da parte del
regime. Io li scruto e vado alla ricerca di un ghigno, di una
deformazione fisica, anche impercettibile, che me li additi come
torturatori della PIDE felicemente in pensione. Impuniti. Chiunque
abbia la nordica sfrontatezza di andarsene in giro con gli occhi
chiari mi suona come un nipote di un Waffen SS. Un accento francese,
soprattutto se del Sud o dell'ovest mi scatena incubi tremendi su
ufficiali dell'OAS venuti qui ad addestrare gli aguzzini che
compirono massacri in Portogallo, in Angola, In Mozambico...e da
ultimo anche in Italia. La strage di Brescia in particolare ma non
solo. Erano qui. Camminavano le mie strade. Eppure sono rimasti
inafferrabili ombre. Sappiamo tante cose. Molte ancora ci sfuggono.
Da
anni cerco, spasmodicamente febbrilmente, una prova, un appiglio che
mi aiuti a capire e forse in parte a spiegare. Più mi avvicino più
mi sento lontano. E adesso che sono quotidianamente vicino a loro ed
alle loro facce, reali o immaginarie che siano, i miei nervi si
tendono. Sforzo mente e corpo oltre il limite. Quando ti sembra di
essere vicino alla meta solitamente crolla tutto l'impianto. In
questi giorni continuo quindi a ripetermi che non ho una vera pista e
che queste settimane di fatica immane non aggiungeranno nulla. Lo
faccio quasi per scaramanzia. Anzi lo faccio proprio per quello. La
sfiga esiste? Non lo so ma nel dubbio...
Non
troverò nulla di più se non un ennesimo piccolo indizio. In fondo
son 4 anni che rincorro una mitraglietta modificata. Ci pensavo oggi
mentre mi arrampicavo per le colline fino alla calcada de Estrela.
Pensavo a quel momento, a quello scoppio. Pensavo che non me ne
faccio niente di essere uno storico. Non potrò mai capirlo. Tentavo
di immaginarmi non tanto il dolore di chi è rimasto e neppure lo
schianto della morte. Cercavo di capire, perché in fondo quello
davvero m'interessa, i passi di chi quella bomba l'ha pensata e l'ha
messa. In ogni angolo cercavo residui inimmaginabili di memoria.
Avevo superato il Belvedere di Lapa con i suoi odori di aglio quando
ho alzato lo sguardo e l'ho visto: Rua
de Praca 13,
Aginter Press.