Il referendum assurdo proposto dal governo Renzi ha perso.
Un terzo della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista non verrà
cambiata. Il giovane si è dimesso pochi minuti fa con un discorso surreale in
cui si è preso la responsabilità della sconfitta. Lui, eroe greco dei nostri
giorni, fiero spartano sulla breccia Scultoreo Leonida che muore per tutti; non
c’è nulla di più populista del pavoneggiarsi di un leader (o presunto tale) che
offre il petto vigoroso alle lance. Nulla di più distante dall’idea di
partecipazione democratica di quell’improprio utilizzo di una retorica stucchevole
di una morte (politica) romantica e solitaria, nulla di più fastidioso di quell’assenza
assordante del noi. Non hai perso te, ha perso, soprattutto, un partito. Mai
citato il Partito di cui è segretario, nemmeno una volta. La chiave della sua
sconfitta e, prima ancora, della sua inadeguatezza sta tutta lì. Mi direte ma
la destra il mito dell’uomo forte ce l’ha da sempre; appunto la destra. Renzi
in teoria è stato un leader della (moderata, moderatissima) sinistra italiana.
Una sinistra storica, forte, radicata ed a volte radicale (secoli fa) che
sapeva capire le necessità primarie di un popolo e renderle legge attraverso percorsi
partecipativi lunghi, difficili ma collettivi. Ecco, anche simbolicamente, il
discorso di commiato (speriamo perenne) di quest’omuncolo dalla vita politica
italiana ha voluto, ancora una volta, ancora di più, inquinare, insozzare,
violentare le radici del pensiero politico della sinistra: esiste il noi! Poi
può piacere o meno ma la sinistra nasce dall’idea di eguaglianza e dentro quell’idea
lo spazio per l’io viene ridimensionato. (Angolo Nerd): il benessere dei molti
conta di più di quello dei pochi diceva Spock. Ecco se non vi va bene non è un
problema ma siete di destra. Basta saperlo. Però almeno a sinistra alcune cose
le devi sapere; sapere che cos’è il movimento operaio, che cos’è un padrone, come
funziona il mercato capitalista; cose così, insomma. Soprattutto se nella vita
vuoi fare politica. Ora leggo reazioni a caldo di poveri democratici che
speravano nel sì e che ora preconizzano, la morte della democrazia, la vittoria
del M5S (che io reputo una sciagura atroce, sia chiaro), dittatori latino
americani, espatri con le valigie di cartone…ecco, calma. Forse potrebbe anche
esserci una terribile involuzione a destra i segni ci sono tutti; ma prima di
morire ai piedi dell’altare vogliamo almeno chiederci il perché? A questo
referendum hanno votato milioni di persone, sono tutti pericolosi fascisti con
i denti affilati? Stesso ragionamento si potrebbe fare per la Brexit, per Trump
ma rimaniamo a noi. Ma porca miseria 20 di Silvio non ci hanno insegnato nulla?
Maree di lavoratori e disoccupati votavano e votano a destra. Perché? Cosa
caspita siamo stati in grado di offrire a sinistra? Il Jobs act? E vi
lamentante? Per capirci se avesse vinto il Sì l’Italia sarebbe di colpo divenuta
la patria dell’eguaglianza e della partecipazione? Ma davvero? È tutta
anti-politica. Quando perdiamo noi è sempre colpa dell’anti-politica. Ma vi
sfiora l’idea che, invece, questo voto tenga al suo interno anche un grande
desiderio di politica? Che forse una parte di chi ha votato No avrebbe una gran
voglia di partecipare ma non sa dove farlo? Ora non dico che bisogna per forza
promettere il socialismo ma nemmeno dire a milioni di persone: mi dispiace
lavorerai col voucher e morirai di fame! Dobbiamo fare qualcosa di
difficilissimo, dobbiamo scardinare l’IO dell’omuncolo e costruire NOI,
dobbiamo rispolverare antiche pratiche per scoprire che, forse, non sono così
inutili. Lo scrivevo qualche sera fa, il M5S che io reputo un male assoluto,
avrebbe vinto le elezioni ugualmente, finiamola di pensare che così non sarebbe
stato. Avrebbe vinto perché dice cose terribili ma anche perché noi non siamo
capaci di controbattere nulla che non sia la deprimente viltà del capitalismo.
Avrebbe vinto col suo nazionalismo assassino perché le leggi contro gli
immigrati le hanno scritte Napolitano e la Turco. Avrebbe vinto col suo antieuropeismo
di bassa lega perché nessuno dei leader della sinistra italiana è stato capace
di mettere in campo un ragionamento transnazionale che andasse in direzione
opposta a quella dell’austerity. Non avete perso un referendum avete perso una
classe negandone l’esistenza in un delirio post-turbo.minchia e poi un paese
che non avendo speranze preferisce votarvi contro anche rischiando un incubo.
Se a questo non saremo in grado di opporre una costruzione collettiva, periremo
uno alla volta, come individui, soli.
...il titolo di una vecchia canzone...piccole dimenticate storie da raccontare...un modo per condividere viaggi e spazi di riflessione con cadenza casuale e da latitudini differenti...climi...colori..persone che in qualche modo incontro e che mi raccontano...io riporto...fotografo ricordo e quindi quello che leggerete è sempre e solo..ignobilmente colpa mia....
lunedì 5 dicembre 2016
lunedì 28 novembre 2016
Que viva el CNEL!
IO giuro che non volevo; ho seguito questo psicodramma
referendario con scarsa attenzione, del resto di più non meritava, e con un
poco di sarcasmo. Vista dall’estero (dove risiedo più o meno saltuariamente)
questa campagna elettorale pare piuttosto ridicola. Anche ad osservatori poco
attenti. Insomma il globo pare attraversato da questioni ben più serie di
questa perché troppe persone spendano tempo ed energie per affrontare una
confusa (e confusionaria) riforma costituzionale. Nelle ultime ore, però, mi sono
convinto che una cosuccia la dovevo scrivere, anche solo per i posteri, anche
solo per poter dire a chi verrà dopo di me: lo vedi? Mentre il pianeta
scivolava nel delirio neo-nazionalista ed i miei compatrioti erano intenti a
discutere cose con poco senso; io lo dicevo. Ecco diciamo che i toni
millenaristi della campagna elettorale mi hanno veramente stancato. Lo dico per
dovere di cronaca, raramente mi sono trovato d’accordo con Bifo ma c’è un post
sul blog del suo movimento che mi è parso corretto. Il succo è: l’Europa non
esce dalla crisi, i popoli guardano a destra e voi pensate a queste cagate? Per
carità è una banalizzazione ma di fatto questo è. Ecco mi trova abbastanza
d’accordo. Non credo che se dovesse vincere il Sì si ribalteranno chissà quali
equilibri istituzionali; è un pasticcio è una riforma scritta malissimo e
pensata per snellire, velocizzare e, forse, banalizzare, cose che, a mio
parere, avrebbero invece bisogno di essere ponderate, lente ed a volte persino
macchinose. Provo a spiegarmi. La legge è sempre espressione di una classe
dirigente. Le norme giuridiche rispondono a complessi equilibri sociali che
dovrebbero evitare la guerra civile permanente ma non lo scontro. La democrazia
è questa. Si tratta di un’infinita e lunga rottura di palle. Per questo questa
riforma è sbagliata. Non si tratta solo del fatto che è scritta da dei cani che
farebbero meglio a fare causa alle proprie scuole medie; è sbagliata perché
strizza tremendamente l’occhio ad una deriva populista. Velocità e dinamismo.
Poi, ripeto, è scritta talmente male che non succederà nulla ma il cuore, il
pensiero profondo è la ricerca affannosa di una scorciatoia verso lidi di
sfolgoranti ascese elettorali, attenzione, ma che poco hanno a che fare con il
politico. Non è una riforma è una scorciatoia un po’ furbetta che dice
all’elettore medio: hai visto ho tagliato i costi della politica. Ecco, io
sarei per alzarli, invece. La politica è una cosa seria, le democrazie devono
comporre interessi contrastanti ed a volte è difficile. La politica deve
trovare soluzioni complesse a problemi che la maggioranza di noi ancora non
vede. La politica è difficile e la democrazia prevede tempi lunghi e persone
preparate. Non serve fare più leggi se sono stupide. Le leggi dell’Imperatore
Giustianiano sono vecchiotte ma sono state alla base del pensiero giuridico
occidentale per qualche secolo: per dire se una cosa la fai bene, magari ci
metti tempo ma poi funziona a lungo. L’Europa sta sprofondando in un incubo di
stagflazione non solo economica ma morale ed intellettuale; dipingiamo dei
poveri disgraziati in fuga da guerre e miseria causate anche da noi, come
un’orda di Visigoti, distruggiamo il futuro del continente sull’altare
dell’accumulazione del capitale ed il problema è il referendum? Un po’ sì. Solo
un po’ sia chiaro. È un problema il pensiero che ci sta sotto, è poco
strategico anzi non lo è per nulla. Aldo Moro diceva che i politici pensano
alle prossime elezioni mentre gli statisti alle prossime generazioni. Ecco
dovremmo, forse, insegnare alle prossime generazioni, e ricordacelo anche noi,
che la democrazia è lenta e complicata che si tratta di pazienza e di visione
del futuro. Forse, però, visto che il futuro lo abbiamo dato per spacciato ci
accontentiamo della velocità anche nelle sciocchezze. Avremmo, credo, bisogno
di un pensiero strategico, che francamente manca, che pensi a modelli di
società. Dire vota Sì altrimenti faremo le leggi più lentamente non è
sufficiente; anzi. Io vorrei le faceste con calma perché sono importanti e regolano
la vita della comunità, gli impediscono di crollare in quella guerra civile che
tanti leader europei di destra sembrano
quasi auspicare. Dire pagheremo meno i politici mi spaventa perché mi viene in
mente che Trump ha deciso di non essere pagato affatto. Vorrei pagarli molto i
nostri politici in Europa, vorrei che prendessero decisioni sagge e che queste
decisioni nascessero da un confronto anche aspro perché quello è il cuore della
vita democratica. Non una maggioranza schiacciante che simula un unanimismo
sterile e vuoto. Lo scontro (non la guerra civile sia chiaro) è fondamentale ed
è lo sforzo della ricomposizione a fare la politica; per questo c’è bisogno di
tempo e c’è bisogno che le persone che dedicano questo tempo, il loro tempo e
la loro vita a un benessere collettivo, vengano pagate perché sia garantito
anche a chi non ha di fare la sua parte dentro il dibattito collettivo. Ma ci
stanchiamo, preferiamo un like, un post, un twitter; amiamo velocità
fagocitanti e comunicazioni inutili. La democrazia vuole tempi lunghi, lavori
faticosi e noiosi. Non si può decretare la bontà di una legge in un tweet on in
un anno. La sola vera cartina di tornasole da questo punto di vista è questa
crociata infame contro il CNEL che avrebbe dovuto essere un’istituzione di
programmazione importante ma che è rimasta lettera morta come tante altre parti
della Costituzione (pur splendida) di questo pese. Il CNEL non lo vuole nessuno
perché non ha funzionato, dicono. Non ha funzionato perché vi avrebbe riportato
ad un pensiero strategico, di programmazione, di lentezza e di saggezza. W il
CNEL!
martedì 26 luglio 2016
gli atei, l'amore e la morte
Mi dispiace ma non so descrivere la morte; nemmeno una morte
annunciata e che si attende come un taxi nell’androne di un palazzo mentre
fuori piove. Vorrei essere capace, vorrei che tutti gli inutili libri che ho
letto mi venissero in aiuto; ma loro no, se ne stanno bastardi e silenziosi a
guardarmi dagli scaffali. Io purtroppo non ho doni da mettere nelle bare, non
ho consolazioni da aggiungere ai fiori, non ho parole per descrivere ciò che
non so e che non riesco nemmeno a percepire. Cosa vuol dire attendere un non
meglio specificato nulla? Che significato ha il dolore fine a se stesso? Forse
nessuno. Forse non c’è spiegazione; forse la fine è solo intimamente se stessa.
Ed allora ha più senso pensare alla trippa ed ai mille involucri di plastica
che avvolgevi attorno ad ogni cosa che mi davi; forse ha senso solo rimanere un
secondo di più a stringerti la mano scarna fintanto sia possibile; non lo so ma
altro non so fare. Vorrei dirti che ho imparato a chiamare la natura per nome
perché l’ho visto fare a te; a te che non mi hai mai insegnato nulla ma mi hai
semplicemente mostrato il tuo modo di avvicinarti alle cose. Con grazia, sì in
qualche modo con una grazia semplice, con quella conoscenza che deriva dal
saper dare ad ogni cosa un valore, persino un’etica. Mi piacerebbe rendere il
tuo andare più lieve dicendoti che non sbaglierò e che mi prenderò cura di
coloro che hai amato come avresti fatto tu; ma ti direi una bugia. Non c’è modo
di rendere giustizia al tuo sorriso mentre guardi tua figlia provarsi un abito
nuovo o tuo nipote pronunciare i primi vagiti; e mentre lui sborbotta suoni
senza ancora alcun senso tu già senti che la fine sta giungendo. A volte più
rapida in una fitta di dolore, a volte lentamente in quella consunzione lenta
ma inesorabile che accompagna la malattia. Non mi è nuova la lunga liturgia di
esami e trattamenti tremendi che hanno sfiancato il tuo corpo e le nostre anime
ma, come sempre, mi ha dilaniato; ho tentato, ti giuro, di essere forte e di
supportare la dolce giovane donna che tanto amo e che mi onora della sua presenza
ogni giorno; non so se ci sono riuscito. Del resto per quanto mi sforzi non riuscirò
mai a non farle sentire la tua mancanza. Ma è giusto così.
Ecco io non sono un credente; ho rispetto per chi crede;
certo li guardo un po’ come i fratelli scemi che ancora si gettano anima e
corpo nelle favole ma un po’ li invidio. E chissà, forse, il mio rispetto
deriva proprio da quella invidia che sento; invidio il vostro senso di
sicurezza mentre io non riesco ad averne. Invidio la vostra stentorea verità
mentre io annego nei dubbi; invidio la vostra solida (chissà forse stolida)
credenza in un altro mondo fatto di pace e giustizia e lontano dalle brutture
di questo mentre stringo la mano della donna che amo e non so come consolarla;
non so aiutarla, non so spazzare via paure e dolore come se fossero cenere su
di un tavolo; mentre lei guarda sua madre morire, io vi invidio. Poi, però,
penso che starò al suo fianco e che non le mentirò e che sarò semplicemente
quello che sono senza cercare di sconfiggere un dolore immenso col quale
conviverà per il resto della vita; e che la sola cosa che potrò fare sarà
portare quel bagaglio di dolore con lei; non avrò risposte e forse per questo
cercherò di essere migliore, per rispettare una promessa non fatta ma alla
quale sono legato. Mi prenderò cura di lei ogni giorno e non avrò bisogno di
altro. Gli atei soffrono di più ricordatevelo! Gli atei cercano di essere
giusti per onorare la memoria dei loro cari che non ci sono più non perché
credono in qualche ricompensa. Non credo in nessun dio e se ci fosse lo sfiderei dal profondo delle mie viscere e rinascerei da qualsiasi inferno per raderlo al
suolo con la forza di un odio immenso e titanico. Sono ateo e amo quello che ho
come voi non capireste mai; sono ateo e la forza che discende da questa
consapevolezza voi non la sentirete mai. Noi, rispettiamo le promesse, anche
quelle non fatte. Non abbiamo speranze per questo amiamo disperatamente. Non
abbiamo fede per questo ci affidiamo senza riserve alla vita; e quando questa
scivola tra le dita non abbiamo risposte ma solo domande; non abbiamo salmi da
innalzare ad un cielo vuoto ma solo un canto che celebra, ancora ed ancora, la
vita. Quella unica ed irripetibile che voi non assaporerete mai; quell’esperienza
unica che non ha senso e per questo è così immensamente piena. Noi non
sappiamo, preferiamo vagare in un buio reale tenendoci stretti per non avere
paura anziché inventarci invisibili e muti dei che ci lasciano soli. Ed è per
questo non volersi abbandonare alla solitudine che rimaniamo lì; resistiamo in
piedi anche quando avremmo voglia di cadere. Perché sappiamo che aggiungere
solitudine a disperazione non porta a nulla. Starò qui finché sarà possibile.
Starò qui a cucinarti una volta di più, a stringerti mentre svanisci nel mio
abbraccio a restituirti quel poco che ho, quella speranza che parla al presente
e che si proietta in un futuro che non vedrai ma che ti appartiene perché noi
non crediamo in nulla se non nella vita. E celebriamo quella anche mentre ti
salutiamo un giorno dopo l’altro senza dirti che manterremo promesse che non
abbiamo fatto.
sabato 23 luglio 2016
come in un videogame
Cos’hanno in comune gli uomini e le donne che hanno
preparato e messo in atto gli attentati che negli ultimi 18 mesi hanno
sconvolto L’Europa occidentale[1]?
Molti, la grande maggioranza, erano di fede islamica. Non tutti erano musulmani
modello, anzi. L’ultimo addirittura era un ragazzo giovanissimo che in preda ad
un delirio di tipo nazionalista, oltre che ad evidenti turbe della personalità,
odiava i turchi e gli immigrati essendo lui stesso di origini iraniane. Come
possiamo tracciare una linea, per quanto tortuosa, che unisca l’attentatore di
Monaco con quello di Nizza e quelli del Bataclan? Come possiamo pensare che un
gesto isolato (almeno a 24 ore dall’attentato sembra esserlo stato) con un
piano complesso che fa capo ad un’organizzazione transnazionale che si auto
proclama Califfato? Forse, il cuore di questo tentativo è ancorato a quello di
egemonia in Gramsci. L’egemonia, ossia le forme di domino culturale che danno
forma alle società, non sono neutrali ma, in qualche modo, espressione della
classe dominante. Allo stesso modo si sviluppano lungo assi che travalicano la
cultura ufficiale ma che dipartono, a raggiera, abbracciando ogni modello
espressivo dalla letteratura alla musica ed all’arte fino al divertimento. Per
questa ragione le forme del dominio culturale sono così strettamente legate
allo specifico nazionale perché i loro codici sono connaturati ad una specifica
cultura nazionale; o quanto meno, e questo è cruciale, di un gruppo. L’appartenenza
è un dato culturale; anzi è il dato culturale per eccellenza. Fare parte di un
gruppo, una nazione, una tifoseria, una generazione, una fede, spiega al
singolo essere umano chi è, qual è il suo scopo oltre se stesso. In una parola
da senso non solo alla sua vita ma alla sua morte. Ora da circa quarant’anni il
modello culturale dominante delle società occidentali si è basato su di un’idea
portante estremamente forte e fortemente propagandata: l’individuo. Null’altro
vale se non l’individuo. Non mi metterò qui a fare una critica del
neoliberismo, non serve, sta fallendo da solo. Mi sta, invece, più a cuore
pensare alla diffusione massiccia di un modello culturale individuale e superomistico
allo stesso tempo. Sì perché se l’unica dimensione che conta è quella
individuale questo stramaledetto individuo che sono dovrà essere, per forza,
speciale, unico ed irripetibile. L’eroe di un videogame, di un film d’azione,
di una canzone. Chi in tutta coscienza vorrebbe essere comprimario o ancora
peggio semplice comparsa? Chi non aspira a dare alla propria esistenza un
significato che travalichi la sua morte? Lo Stato è in crisi, le società, la
famiglia, ogni tipo di istituzione sta vivendo un momento di stravolgimento.
Veniamo invitati a vivere vite straordinarie e solitarie; persino le pubblicità
dei deodoranti ci spingono verso titaniche traversate dei deserti in cerca del
senso ultimo dell’esistenza. Laddove questo senso ultimo rimane sempre lo
stesso: tu e soltanto tu importi. Non c’è nazione, progetto, politica, non c’è
futuro. Veniamo spinti a forza in un presente senza fine. A quel punto la fine
è il solo momento che appare degno di considerazione. Un uomo di successo se ne
va con stile e con il botto. Non vorrai mica morire in una periferia sfigata
come quella dove sei cresciuto, vero? Il lavoro, la mancanza di lavoro, la
famiglia, la società, persino la fede, son tutte cose importanti ma solo nel
momento in cui sacrifichi la tua eroica vita in nome di questi feticci. Sì
perché in realtà nessuno degli attentatori era un vero musulmano (cristiano od
ebreo, sarebbe stato lo stesso) e della santità del Califfato gli importava,
probabilmente, molto poco. Volevano distinguersi volevano vivere come un eroe
almeno per una volta. Sono cresciuti con Doom (non è vero ci sono cresciuto io
ma i videogame di ultima generazione non li conosco), sono invincibili e
muoiono solo perché lo scelgono. Sono solo morti eroiche. Non si disfano di
lavoro per crepare di malattie prese sul lavoro mentre ancora pagano il mutuo.
L’egemonia culturale, dunque, ha funzionato. Anche troppo bene. Non credo sia
un caso se la stragrande maggioranza degli attentatori fossero nati e cresciuti
qui in Europa. Siamo stati noi a dirgli di pensare solo a sé stessi e che il
futuro non esiste. Di che vi lamentate? Dei morti? Ma se son solo pupazzi? Loro
sì che sono inutili, loro sì sono solo personaggi del videogame: gli sparo ma
non lo faccio perché ce l’ho con loro. Anzi lo faccio per me, solo per me; in
fondo chi è più importante di me e del modo in cui vivo la mia unica avventura?
Perché quella conterà alla fine. Non se ero anche un po’ omosessuale ed
omofobo, non se mi facevo le canne e bevevo, non se contravvenivo a qualsiasi precetto
della fede che dico di professare. Perché la sola fede che sto professando è la
mia fede. Poi, chiaramente, questa fede mi aiuta a sentirmi parte di qualcosa
di più grande, mi fornisce l’infrastruttura necessaria alle mie gesta. L’idea
che il mio gruppo mi ricorderà come un martire è centrale in tutta questa
liturgia; ma ancora il gruppo è il depositario delle mie gesta; vero che senza
gruppo non ci sarebbe memoria ma senza le gesta forse non ci sarebbe gruppo. Un
cane che si morde la coda, insomma. Un corto circuito di culture della morte:
una che ti dice che sei la cosa più importante e l’altra che ti suggerisce che
sei talmente importante che la tua morte sarà un capolavoro: chi parlava di
bella morte? Ah sì. Anche allora lo Stato così come lo avevano conosciuto era
in crisi, anche l’economia tanto bene non andava e pure allora vi era stata un’ondata
di romanticismo che faceva anelare alla morte ed alla guerra come momento
salvifico. Sopra queste culture, individualismo e superomismo, ci possiamo
costruire molti miti: la nazione, il califfato, la fede, l’antimodernismo. Al
fondo rimane la vittoria dell’individualismo su una dottrina che parlava di
giustizia e di libertà come percorso collettivo: non per scelta ma come unica
via. Parlava di socialismo. Ma ci avete detto che eravamo vecchi ed inutili.
Adesso tenetevi la gioventù che avete allevato, sono soli, feroci e senza
pietà. Proprio come li volevate. Gli avete insegnato che si deve vincere,
sempre e che se non si vince si forza il risultato. Gli avete detto che perdere
fa schifo e che il vincitore è uno solo e prende tutto. Vi stanno prendendo
tutto… pezzo dopo pezzo, cadavere dopo cadavere. Ah e se ve lo steste
chiedendo: hanno appena cominciato e voi non avete nulla da opporgli.
[1] Si parla
di Europa Occidentale perché prendere in considerazione il globo terracqueo
sarebbe fin troppo complesso; è bene, però, ricordare che i più sanguinosi
attentati degli ultimi anni hanno visto come teatro città del Medio ed estremo
Oriente.
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