Mi dispiace ma non so descrivere la morte; nemmeno una morte
annunciata e che si attende come un taxi nell’androne di un palazzo mentre
fuori piove. Vorrei essere capace, vorrei che tutti gli inutili libri che ho
letto mi venissero in aiuto; ma loro no, se ne stanno bastardi e silenziosi a
guardarmi dagli scaffali. Io purtroppo non ho doni da mettere nelle bare, non
ho consolazioni da aggiungere ai fiori, non ho parole per descrivere ciò che
non so e che non riesco nemmeno a percepire. Cosa vuol dire attendere un non
meglio specificato nulla? Che significato ha il dolore fine a se stesso? Forse
nessuno. Forse non c’è spiegazione; forse la fine è solo intimamente se stessa.
Ed allora ha più senso pensare alla trippa ed ai mille involucri di plastica
che avvolgevi attorno ad ogni cosa che mi davi; forse ha senso solo rimanere un
secondo di più a stringerti la mano scarna fintanto sia possibile; non lo so ma
altro non so fare. Vorrei dirti che ho imparato a chiamare la natura per nome
perché l’ho visto fare a te; a te che non mi hai mai insegnato nulla ma mi hai
semplicemente mostrato il tuo modo di avvicinarti alle cose. Con grazia, sì in
qualche modo con una grazia semplice, con quella conoscenza che deriva dal
saper dare ad ogni cosa un valore, persino un’etica. Mi piacerebbe rendere il
tuo andare più lieve dicendoti che non sbaglierò e che mi prenderò cura di
coloro che hai amato come avresti fatto tu; ma ti direi una bugia. Non c’è modo
di rendere giustizia al tuo sorriso mentre guardi tua figlia provarsi un abito
nuovo o tuo nipote pronunciare i primi vagiti; e mentre lui sborbotta suoni
senza ancora alcun senso tu già senti che la fine sta giungendo. A volte più
rapida in una fitta di dolore, a volte lentamente in quella consunzione lenta
ma inesorabile che accompagna la malattia. Non mi è nuova la lunga liturgia di
esami e trattamenti tremendi che hanno sfiancato il tuo corpo e le nostre anime
ma, come sempre, mi ha dilaniato; ho tentato, ti giuro, di essere forte e di
supportare la dolce giovane donna che tanto amo e che mi onora della sua presenza
ogni giorno; non so se ci sono riuscito. Del resto per quanto mi sforzi non riuscirò
mai a non farle sentire la tua mancanza. Ma è giusto così.
Ecco io non sono un credente; ho rispetto per chi crede;
certo li guardo un po’ come i fratelli scemi che ancora si gettano anima e
corpo nelle favole ma un po’ li invidio. E chissà, forse, il mio rispetto
deriva proprio da quella invidia che sento; invidio il vostro senso di
sicurezza mentre io non riesco ad averne. Invidio la vostra stentorea verità
mentre io annego nei dubbi; invidio la vostra solida (chissà forse stolida)
credenza in un altro mondo fatto di pace e giustizia e lontano dalle brutture
di questo mentre stringo la mano della donna che amo e non so come consolarla;
non so aiutarla, non so spazzare via paure e dolore come se fossero cenere su
di un tavolo; mentre lei guarda sua madre morire, io vi invidio. Poi, però,
penso che starò al suo fianco e che non le mentirò e che sarò semplicemente
quello che sono senza cercare di sconfiggere un dolore immenso col quale
conviverà per il resto della vita; e che la sola cosa che potrò fare sarà
portare quel bagaglio di dolore con lei; non avrò risposte e forse per questo
cercherò di essere migliore, per rispettare una promessa non fatta ma alla
quale sono legato. Mi prenderò cura di lei ogni giorno e non avrò bisogno di
altro. Gli atei soffrono di più ricordatevelo! Gli atei cercano di essere
giusti per onorare la memoria dei loro cari che non ci sono più non perché
credono in qualche ricompensa. Non credo in nessun dio e se ci fosse lo sfiderei dal profondo delle mie viscere e rinascerei da qualsiasi inferno per raderlo al
suolo con la forza di un odio immenso e titanico. Sono ateo e amo quello che ho
come voi non capireste mai; sono ateo e la forza che discende da questa
consapevolezza voi non la sentirete mai. Noi, rispettiamo le promesse, anche
quelle non fatte. Non abbiamo speranze per questo amiamo disperatamente. Non
abbiamo fede per questo ci affidiamo senza riserve alla vita; e quando questa
scivola tra le dita non abbiamo risposte ma solo domande; non abbiamo salmi da
innalzare ad un cielo vuoto ma solo un canto che celebra, ancora ed ancora, la
vita. Quella unica ed irripetibile che voi non assaporerete mai; quell’esperienza
unica che non ha senso e per questo è così immensamente piena. Noi non
sappiamo, preferiamo vagare in un buio reale tenendoci stretti per non avere
paura anziché inventarci invisibili e muti dei che ci lasciano soli. Ed è per
questo non volersi abbandonare alla solitudine che rimaniamo lì; resistiamo in
piedi anche quando avremmo voglia di cadere. Perché sappiamo che aggiungere
solitudine a disperazione non porta a nulla. Starò qui finché sarà possibile.
Starò qui a cucinarti una volta di più, a stringerti mentre svanisci nel mio
abbraccio a restituirti quel poco che ho, quella speranza che parla al presente
e che si proietta in un futuro che non vedrai ma che ti appartiene perché noi
non crediamo in nulla se non nella vita. E celebriamo quella anche mentre ti
salutiamo un giorno dopo l’altro senza dirti che manterremo promesse che non
abbiamo fatto.
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