giovedì 10 ottobre 2013

Fascisti a 5 stelle

Certo accorgersi solo oggi che il M5S è un movimento di destra mi sembra francamente un poco ingenuo. Per mesi ci si è nascosti dietro una categoria effimera come quella di populismo. Non che non sia vero, ed anche oggi Grillo e Casaleggio, lo hanno confermato dicendo che se fossero andati in campagna elettorale proponendo l'abolizione della Bossi-Fini il loro movimento avrebbe preso percentuali da prefisso telefonico. Forse è vero. Forse no. Ma francamente m'interessa poco. La grande differenza tra i partiti politici ed i movimenti, soprattutto quelli smaccatamente populisti ma si potrebbe tranquillamente dire che i movimenti un poco populisti lo sono tutti, è esattamente questa. I partiti, le strutture si organizzano intorno ad un'idea. Intorno anche ad un sistema di idee e di valori. E quelli non solo li portano avanti ma dovrebbero insegnarli. Non è brutto insegnare. Anzi. Avere qualcuno che avendo dedicato molto tempo a comprendere un fenomeno ce lo spieghi o ci dia gli strumenti per arrivare a comprenderlo meglio è la base del progresso umano. Ma questo presuppone strutture che agiscano in profondità nelle società e soprattutto presuppone sforzo collettivo. Avere due padroni guru che ti spiegano la realtà a forza di insulti e di strilli è decisamente più facile. E soprattutto non dite che questa è la nuova forma della politica che le società sono più complesse e, di conseguenza, necessitiamo di strumenti come questi per portare a sintesi le nostre difficili esistenze. Forse avremmo anche bisogno di strumenti nuovi ma questi non lo sono. Non vi è differenza tra gli slogan all'olio di ricino e le invettive di Grillo mi spiace non ve n'è alcuna. Non vi è differenza tra la crociata antipartito di questi nuovi puritani e le invettive antisistema delle SA. Usavano le stesse parole. Anche nel 1932 i nazisti in campagna elettorale dicevano che il sistema era corrotto e che i partiti erano composti da ladri. Loro, i nazisti, erano la sola risposta organica alla crisi. Oggi, mentre viviamo un'altra drammatica crisi del capitalismo, Casaleggio dice che i votanti, i militanti e i dirigenti del M5S sono un tutt'uno. Carl Schmitt scrisse che il Furher non aveva bisogno degli strumenti vecchi ed obsoleti della democrazia rappresentativa perché lui era in contatto diretto con lo spirito del popolo...ecco per chi ancora non avesse capito questo mi sembra francamente più che sufficiente. Siamo di fronte ad un partito di destra. Ma non perché proponga forme di società che siano immediatamente inscrivibili a quella cultura politica ma proprio perché non proponendone alcuna e sfruttando la sofferenza provocata dalla crisi economica, M5S imbocca un percorso identitario che sfocia ineluttabilmente verso approdi anti democratici. Imboca questa strada facendo quello che tanti altri movimenti, alcuni sfociati in regimi molti altri fortunatamente no, hanno faatto in passato: semplificando e demonizzando. La realtà è semplice il movimento fornisce 5 parole d'ordine confuse ma che appagano il momentaneo disagio di ampi strati di popolazione e che si azzarda a criticare è un nemico. Facile, semplice e pericolosissimo. Pericoloso perché p esattamente il contrario della democrazia che prevede tempi lunghi dibattiti estenuanti e noiosi tra persone possibilmente preparate a non dire solo fesserie che portano voti. La democrazia vuol dire anche a volte passare mesi e addirittura anni a convincere milioni di persone che il benessere dei molti viene prima di quello dei singoli. Ecco perché le affermazioni rilasciate oggi in tema d'immigrazione non mi dicono nulla di nuovo su questi signori. Mi dicono solo che oggi in Italia non abbiamo un fenomeno come Alba Dorata o non c'è il Front Nacional al 24% (bei sondaggi per le europee) perché ci sono loro. Le frustrazioni per la gestione immorale della crisi da parte del PD e del PDL sono incarnate dal M5S un movimento e non un partito perché un partito ha istanze democratiche al suo interno. Possono funzionare o meno, ma esistono. Possiamo criticare i partiti ma non è un duo di imbecilli strilloni che può sostituire il farsi pensiero ed azione collettiva. Il miraggio della partecipazione attraverso la rete si sta rivelando per quello che è: una modalità di controllo. La rete è in fondo un mezzo di produzione. Ci si organizza intorno ai mezzi di produzione non dentro di essi. Altrimenti la sussunzione che quel mezzo provoca sulle coscienze collettive e singole arriva a disgregare la capacità di pensare qualcosa che sia al di fuori di quel modo di produzione. Anzi si finisce non soltanto per esserne dominati, militando in movimenti para-fascisti pensando che siano l'alba di un nuovo mondo, ma per riprodurre sia all'interno che all'esterno le dinamiche di sopraffazione che si volevano abolire. I partiti fanno schifo aboliamoli con la democrazia diretta e se poi ci si accorge che la democrazia diretta non è pensabile dentro lo schema che ci siamo dati chi se ne frega oramai ce lo siamo dati e quindi deve funzionare per forza. E se qualcuno dall'esterno, ma persino tra le nostre fila, osa muovere una critica è chiaramente un nemico, va espulso. Non ci si dibatte. Non c'è il dibattito. Il dibattito è brutto è roba da politicanti. Non si discute lo si espelle. Del resto essere un tutt'uno implica l'assenza del dissenso. Ovunque manchi o anche solo laddove venga ostacolato c'è sempre presente il fantasma del totalitarismo. Il totalitarismo in fondo è facile. Il dibattito e la democrazia son complicati. Avere padroni che ti dicono cosa fare è semplice essere in grado di prendere decisioni autonome e libere è difficilissimo. La libertà è il più difficile diritto non solo da esigere ma soprattutto da praticare. Vuoi mettere quanto è liberatorio un vaffanculo? Quasi quanto un me ne frego!

mercoledì 18 settembre 2013

Incubi portoghesi e scaramanzia meridionale

Non so come ad un certo punto alzai gli occhi e incontrai gli occhi di Livia, ci salutammo, e in quel momento lo scoppio.


Sono ancora a Lisbona. Città che, come sempre, mi piace. Mi diverte andarmene in giro, mi piace dare al mio spagnolo un accento buffo. L'altro giorno per la prima volta mi hanno scambiato per portoghese! L'han fatto perché son gentili. Appena accelerano me li perdo. Ma non c'è leggerezza in queste settimane. C'è tensione, c'è rabbia. Cammino, cammino tanto. E senza accorgermene mi ritrovo spesso nei luoghi del neofascismo internazionale che il regime salazarista, insieme ad altri, ha cullato tra le colline di questa splendida crosta belle epoque. Sotto la crosta c'è tanto altro. C'è il ricordo di quello che è stato. E qui quel ricordo è, allo stesso tempo, attutito dall'ovatta azulejos di questi edifici che si arrampicano su vicoli ripidi e scoscesi, ed amplificato dai visi dei vecchi scavati dalla dittatura. L'altra sera si rifletteva con un'amica rispetto ai diversi atteggiamenti di fronte alla questione della memoria recente. Lei ogni volta che incrocia una persona over 70 lo pensa come un perseguitato che avrà subito indicibili angherie da parte del regime. Io li scruto e vado alla ricerca di un ghigno, di una deformazione fisica, anche impercettibile, che me li additi come torturatori della PIDE felicemente in pensione. Impuniti. Chiunque abbia la nordica sfrontatezza di andarsene in giro con gli occhi chiari mi suona come un nipote di un Waffen SS. Un accento francese, soprattutto se del Sud o dell'ovest mi scatena incubi tremendi su ufficiali dell'OAS venuti qui ad addestrare gli aguzzini che compirono massacri in Portogallo, in Angola, In Mozambico...e da ultimo anche in Italia. La strage di Brescia in particolare ma non solo. Erano qui. Camminavano le mie strade. Eppure sono rimasti inafferrabili ombre. Sappiamo tante cose. Molte ancora ci sfuggono.
Da anni cerco, spasmodicamente febbrilmente, una prova, un appiglio che mi aiuti a capire e forse in parte a spiegare. Più mi avvicino più mi sento lontano. E adesso che sono quotidianamente vicino a loro ed alle loro facce, reali o immaginarie che siano, i miei nervi si tendono. Sforzo mente e corpo oltre il limite. Quando ti sembra di essere vicino alla meta solitamente crolla tutto l'impianto. In questi giorni continuo quindi a ripetermi che non ho una vera pista e che queste settimane di fatica immane non aggiungeranno nulla. Lo faccio quasi per scaramanzia. Anzi lo faccio proprio per quello. La sfiga esiste? Non lo so ma nel dubbio...
Non troverò nulla di più se non un ennesimo piccolo indizio. In fondo son 4 anni che rincorro una mitraglietta modificata. Ci pensavo oggi mentre mi arrampicavo per le colline fino alla calcada de Estrela. Pensavo a quel momento, a quello scoppio. Pensavo che non me ne faccio niente di essere uno storico. Non potrò mai capirlo. Tentavo di immaginarmi non tanto il dolore di chi è rimasto e neppure lo schianto della morte. Cercavo di capire, perché in fondo quello davvero m'interessa, i passi di chi quella bomba l'ha pensata e l'ha messa. In ogni angolo cercavo residui inimmaginabili di memoria. Avevo superato il Belvedere di Lapa con i suoi odori di aglio quando ho alzato lo sguardo e l'ho visto: Rua de Praca 13, Aginter Press. 

domenica 8 settembre 2013

Sfrutta un frikkettone

Estate calda e stancante. Ho lavorato meno di quanto avrei dovuto. Sono stato in giro, un po' a Madrid, un po' nella casa tra gli ulivi. Sempre quella. Quella che appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni. Quella che mia madre vorrebbe vendere e da cui io, invece, non riuscirei mai a staccarmi. In realtà mia madre non ha tutti i torti. La casa è vecchia ed avrebbe bisogno di un sacco di lavori per essere resa nuovamente, pienamente abitabile. Un sacco di lavori che per intenderci costano un sacco di soldi. Soldi che chiaramente non ho.
Ecco mi piacerebbe capire perché. Cioè intendiamoci in parte lo so. Essere poveri è una specie di tradizione di famiglia. Non sono io. Siamo tutti poveri. Quasi tutti ma la parte ricca della famiglia ci evita al punto che non ci si riesce più neppure a riconoscere. Per carità non mi mancano. Ma torniamo al problema centrale di questo post: i soldi. Devo rimettere a posto la casetta tra gli olivi oppure mamma mi fa causa pur di venderla. Sì perché la casa è intestata a mamma ma la terra mia nonna l'ha lasciata a me. Un casino insomma. Durante i pochi giorni che sono riuscito a passare con loro ho promesso di fare di quel rudere un occasione di profitto. Gli si da una sistemata e vedrai la si affitta. Mio padre non era convinto. Mi ha guardato e mi ha detto: e io poi dove vado? Ma no papà solo per agosto quando qui fa molto caldo te la casa la affitti e te ne vai in montagna. Mio padre odia la montagna ma questo, per ora, rimane un dettaglio trascurabile. Nemmeno io amo la montagna...la trovo di una noia mortale. Ho evitato di dirgli che il mio piano prevede di stipare in casa loro una mandria di frikkettoni finto-poveri e nordisti che senza nemmeno sapere perché hanno deciso che gli piace il Salento. L'ho evitato ma l'ho fatto per i deficienti suddetti. Ah no perché io li detesto ma mio padre è capace di dar fuoco alla casa con loro dentro. Ecco, insomma questi tanto sono di una stupidità abissale ma son finto-poveri. Arrivano con i sacchi a pelo, si buttano sulla spiaggia e si spulciano i capelli manco fossero babbuini in calore, si vestono di stracci che ho scoperto costare un monte di soldi e poi caricano gli strumenti musicali etnici (di che etnia non lo sanno neppure loro) sulla Volvo. Insomma i soldi li hanno, loro. Io no. Punto quindi a truffarli a chiedergli cifre enormi spacciando l'albero centenario piantato dal mio bisnonno per una pianta magica dalle vibrazioni curative. Una cazzata così. Tanto ci credono. Basta infiocchettargliela un poco. Potrei anche fare leva sulla loro finta coscienza ecologista dicendo loro che il prezzo è sì alto ma include la filodiffusione di musica celtica che fa bene agli alberi. Perché un olivo salentino dovrebbe gradire una musica nordica è un mistero sul quale, i suddetti deficienti, potrebbero arrovellarsi per anni. Il punto di partenza però rimane: debbo trovare i soldi per i lavori. Assodato che una banca ad uno storico precario non concederebbe mai nemmeno un centesimo ho avuto una pensata: datemeli voi! Cioè vorrei lanciare una sottoscrizione popolare per risolvere i cazzi miei. Voi potreste, giustamente, chiedermi perché dovreste farlo. Semplice verrete ricompensati: ai sostenitori standard (da 1 a 5 euro di donazione) la foto del frikkettone che fa la meditazione trascendentale sotto l'olivo: la mettete sull'uscio di casa e tiene lontani testimoni di Geova e scarafaggi; ai sostenitori gold (da 5 a 20 euro) la foto di mio padre incazzato mentre passa le vacanze in montagna con allegato cd audio con lui che bestemmia perché odia la montagna: questa immaginetta propizia il vostro giramento di palle. Avete avuto una giornata tranquilla e di conseguenza vi sentite inadeguati? Ecco la risposta. Il cd poi potrebbe darvi nuove idee per offendere i vostri vicini e nel caso la mettiate a tutto volume è utile anche come invocazione per fulmini e pioggia. Per i sostenitori senior e platinum (oltre i 50 euro) vengo io direttamente a casa vostra, picchio i vostri vicini rompi palle, minaccio i testimoni di Geova, insulto chi vi pare e vi cucino lo spezzatino di carne di cavallo, il tutto con in omaggio un imperdibile gadget: il frikkettone. Ve lo porto giuro. Potete farne ciò che vorrete. Usatelo come portachiavi come anti stress, motteggiatelo a morte per essersi fatto prendere per il culo! In fondo se lo meritano. Insomma fareste una cosa utile alla società, divertente per voi e mi rendereste meno astioso, mia madre sarebbe occupata a sistemare imperdibili tendine nella cucina. A mio padre girerebbero le palle.

mercoledì 29 maggio 2013

Cinquanta sfumature di stronzo...

Qualche giorno fa, ma io l'ho scoperto solo stanotte hanno nuovamente minacciato un vecchio amico e compagno, Saverio. Dio solo sa quante volte abbiamo litigato quando militavamo nello stesso partito.
Ha una storia cristallina il mio amico, ha fatto il militante politico per tutta una vita, sempre a sinistra. A Milano dai primi anni '70 ad oggi. Una città dura, una città segnata in profondità dalla violenza squadrista e da quella di Stato. Non nego che ci sia stata una violenza anche a sinistra. Io non sono un non violento. Non potrei, la mia storia personale e politica è tutta là a dimostrarlo. Non mi piace la violenza sia chiaro ma, forse, ancor di più mi infastidisce questo insopportabile marasma indefinito nel quale tutti sono amici od al massimo avversari da rispettare. Faccio lo storico, la violenza è la levatrice della storia non c'è nulla da fare. Attenzione non sto dicendo che amo fare violenza su un altro essere umano ma non posso negare che le grandi trasformazioni sociali e politiche siano avvenute sempre in modo violento. Negare, quindi, che esistano delle circostanze storiche nelle quali l'uso della violenza sia percorribile vuol dire essere semplicemente degli idealisti. Ed io sono un materialista. Faccio i conti con quello che c'è non con ciò vorrei esistesse. Mi piacerebbe tanto credere in domine iddio ma questo non lo rende reale.
Negare, dunque, in toto la violenza e tentare di espungerla dalla politica è assurdo e infantile. Anzi distrugge la politica perché cancella il nemico. Il nemico è la quintessenza della politica. Ci sono i nemici esistono donne e uomini che mi sono intimamente e mortalmente nemici. Hanno un'idea che non è differente dalla mia ne è l'antitesi. Non c'è accordo possibile. E per fortuna. Non voglio andare d'accordo con tutti. Mi spaventa l'unanimità. Di solito fa rima con dittatura. Il resto è una questione di rapporti di forza, quelli sì tutti politici. Ma il nemico esiste eccome. Chi, come i fascisti esercita un'ideologia che esalta la violenza tout court in nome di un'ordine gerarchico, che questi imbecilli vogliono come naturale, è un mio nemico. Nient'altro. Chi fa apologia del fascismo con una svastica, con un braccio teso, appoggiando e propagandando versioni distorte della storia (le foibe,,,dio il prossimo che mi cita le foibe lo porto a fare una gita carsica, lo giuro) è un mio nemico. Con lui non c'è accordo. Con lui io per primo cerco lo scontro. Dialettico se posso, fisico se devo. Spesso essendo i fascisti portatori di una cultura politica che esalta la violenza e la sopraffazione in nome di una superiore visione della vita e della morte, lo scontro fisico diviene inevitabile. Ecco almeno dovrebbe essere così. Ma non lo è. I nostri spavaldi eroi scrivono, minacciano, attaccano solo se 5 contro uno. Altrimenti..scappano. Attenzione non c'è nulla di male nello scappare. Solo gli sciocchi non fuggono mai. Devono essere tremendamente intelligenti i nostri eroici fascisti... Non so chi ha minacciato il mio amico Saverio questa volta. Ma so perché l'ha fatto. Dopo anni di militanza attiva oggi Saverio fa lo storico ed ha aperto un osservatorio sul fenomeno fascista. Ha scritto libri, tiene un blog, fa ricerca e scrive. Fa, insomma la stessa cosa che faccio io. Io più codardamente di lui scrivo di anni '60 e '70. Ecco a me l'idea che qualcuno possa perseguitarti per quello che scrivi o per il tuo passato mi fa incazzare. Lo trovo vigliacco. E al vigliaccheria perpetrata da supposti eroi mi fa incazzare ancora di più. Il fascismo in fondo è questo. È sempre stato questo, sopraffazione e vigliaccheria. Un sistema di dominio politico sì ma prima di tutto umano e sociale. Il più forte contro il più debole. Chiunque fosse debole, economicamente, socialmente, personalmente era un bersaglio. Il debole in generale, per ragioni diverse fosse esso un ragazzo troppo gracile o un contadino povero andava schiacciato o peggio eliminato. Inutili, dannosi alla razza così chiamavano gli handicappati. Stupravano le donne sospettate di omosessualità e ammazzavano di botte gli uomini. Torturavano i dissidenti, a Milano gli italiani delle brigate nere strappavano i denti ai partigiani con le pinze...anche dopo che questi avevano confessato. Lo facevano per divertimento. Negli anni '70 poi tramavano e mettevano le bombe, nelle piazze sopra i treni. Io ero piccolo nel 1980. Il 2 agosto del 1980 ero un bambino e con la famiglia dovevamo andare in vacanza. Emigrati pugliesi che tornavano a casa. Quell'anno, non ricordo per quale motivo, avevamo aspettato che mio padre finisse di lavorare per partire tutti insieme. Di solito io e mamma partivamo prima e papà ci raggiungeva quando poteva.
La ricordo ancora mia madre che piange davanti alla piccola televisione in bianco e nero della cucina perché a Bologna era esplosa una bomba. Alla stazione. Messa in una sala d'attesa in mezzo alle persone che andavano in vacanza dopo un anno di lavoro. Me la ricordo la mia mamma che non voleva prendere il treno il giorno dopo. Mi ricordo mio padre che tentava di rassicurarla dicendo che a noi non sarebbe successo nulla che non sarebbero mai scoppiate due bombe una di fila all'altra. Non ci fu modo di calmare mia madre. Partimmo in macchina. Papà caricò all'impossibile la escort blu e partimmo. Mentre guidava, papà ascoltava la radio. La bomba l'avevano messa i fascisti dicevano alla radio. Io chiesi a mio padre chi fossero i fascisti...lui mi disse che era un discorso lungo e che me lo avrebbe spiegato quando saremmo arrivati. Poi aggiunse, chiunque fa il prepotente è un fascista. Un fascista è uno cattivo-chiesi io- e lui mi disse no....è uno stronzo! Ora, forse, l'analisi di mio papà quella notte del 3 agosto 1980 non fu molto articolata ma ancora oggi mi sembra appropriata. Ecco ancora oggi quando questi mi si paventano davanti in forme svariate cercando, magari, di darsi un tono da democratici a me torna in mente cos'è il fascismo. Mi torna in mente che quell'idea è semplicemente idea di sopraffazione e di violenza. A quest'idea ed a queste pratiche non si da spazio. Non ci si dialoga. Non importa in quale forma si presenti. Può essere un imbecille armato di bomboletta che traccia una svastica o un apostata della patria che sbandiera idiozie sulle foibe..non importa. Davvero non importa. Non c'è gradualità nell'essere fascisti. Un po' come essere degli stronzi insomma...

domenica 21 aprile 2013

L'anomalia italiana


Il PD è morto, viva il PD.

Non sono un elettore del PD. Men che meno un suo militante. Nonostante questo assistere allo sfascio del principale, ed ultimo, partito di massa italiano mi rende triste. La retorica del tanto peggio tanto meglio non mi ha mai convinto. Non c'è da gioire quindi. Partiamo da qui. Chiunque gioisca per l'ingloriosa fine del PD, soprattutto quelli che credono di farlo “da sinistra” stanno prestandosi ad un gioco molto pericoloso. Le prossime elezioni, forse in estate, vedranno lo scontro tra Berlusconi e Grillo. Cioè, a mio parere, di due destre. Una, quella berlusconiana antica, protezionista, antistorica ed anti-moderna mentre l'altra composta da una commistione tra idee socialisteggianti, culto del capo e sapiente utilizzo dei mezzi di comunicazione, francamente qualcosa di già visto. Come scriveva alcuni mesi fa un caro amico: siam passati dal “me ne frego” al “vaffanculo”.
Nel corso di questo ventennio caratterizzato dalla invadenza del centro destra italiano abbiamo più volte sentito parlare di Berlusconi come dell'anomalia italiana. Forse abbiamo sbagliato. Il fatto che un magnate dell'editoria sotto processo per qualsivoglia reato, finanziario, sessuale ed altro divenga più volte presidente del consiglio di un paese occidentale è di per sé un problema sia chiaro. Ma, forse, l'anomalia vera del sistema politico italiano è stato il PD. E sia chiaro, sebbene sia semplice farlo oggi, alcuni di noi lo dicono da sempre. L'idea che le alchimie elettorali o tecniche cambino le culture politiche di un popolo è, non solo sciocco ma mi spingo a dire completamente idealistico. Un sogno dirigista che in Italia non è riuscito di realizzare neppure al fascismo. L'idea che attraverso l'introduzione di sistemi elettorali più o meno maggioritari il PD sarebbe divenuto maggioritario nel paese grazie ad un artificio aritmetico, dimostra la pochezza della classe dirigente della sinistra italiana. L'egemonia culturale, sociale e politica si conquista ancora sul campo. Se imbrogli prima o poi perdi. In fondo non è nemmeno brutta come lezione storica. Ed il PD è stato un imbroglio. Un imbroglio culturale e politico nel quale gli italiani non sono caduti. E sia chiaro non ci sono caduti mai, neppure quando l'Ulivo faceva finta di vincere le elezioni. L'Italia è un paese di destra, bigotto, arretrato e zeppo di pregiudizi provinciali. Fondamentalmente un paese intriso di ipocrisia cattolica.
Questo i dirigenti del PDS lo sapevano. Lo sanno anche oggi. Ed allora hanno tentato il colpo gobbo. Un incontro spurio, un abbraccio mortale tra culture incompatibili: socialismo riformista e moderatismo cattolico. Nel resto d'Europa questa cosa non accade. Mi spingo a dire di più non accade neppure nei paesi a maggioranza islamica. I laici ed i religiosi non li mischi, Sono come l'acqua e l'olio: si repellono naturalmente. Avrai dell'acqua con una patina d'olio sopra, ma non c'è mescola possibile. Per anni ci hanno raccontato che, in fondo erano solo i temi bio-etici a separarci. Avessero detto poco! Come se la visione della vita, morte compresa, e dei diritti fosse scindibile dalla tua idea di società, di come e perché gli uomini si associano e cercano di vivere insieme. No mi dispiace le due cose non sono compatibili. Il che non vuol dire che si debba vivere in una guerra civile costante. I laici socialisti francesi non abbandonano il paese in massa se vince la destra. Ma il PD ha scelto la strada breve. La scorciatoia. Attraverso un sistema elettorale sconosciuto alla cultura politica del paese ha cercato di vincere. Niente di male nel voler vincere. Solo che ha perso, ed ha perso ripetutamente e ad ogni sconfitta ha acuito la sua rincorsa verso il centro moderato e conservatore invece che porre in dubbio la sua propria strategia e quindi la sua natura.
Attenzione non sto sostenendo che non ci deve essere spazio per i cattolici nel PD. Anzi. Ma a patto che siano i cattolici a venire nel partito accettando di lasciare il proprio credo religioso fuori dalla porta e di relegarlo a vita privata. A patto cioè di sposare genuinamente un programma politico e culturale che ha alcuni punti che sono incompatibili con il credo religioso cui appartengono. Non voglio i cosacchi che abbeverano i cavalli in Piazza San Pietro, non voglio trasformare le chiese in granai. Ma solo ribadire che il socialismo, anche quello riformista, è un'altra cosa. Allora o vinci basandoti sulla tua identità, perché sei in grado di farla diventare identità collettiva prima ed egemone poi, oppure perderai sempre. Il problema è che il PD non ha un'identità. Ha scelto pervicacemente fin dai tempi del PDS di non averla, di scioglierla. Il belletto dell'abbraccio con i cattolici non solo non ha funzionato elettoralmente ma si è rivelato devastante da un punto di vista della cultura politica. L'ondata neoliberista che ha travolto tutta la sinistra moderata europea si è abbattuta in maniera forse ancora più devastante su di un socialismo italiano minato alle fondamenta dalla povertà di respiro e di strategia. Quanto spazio avrebbe avuto Silvio Berlusconi se la dialettica politica italiana si fosse dipanata tra una destra liberale e cattolica ed una sinistra social riformista? Io credo poco. Ma così non è stato. Il PDS ha tentato di inglobare pezzi di nomenclatura democristiana senza peraltro essere stato in grado di assimilarne né le strutture sociali né il consenso elettorale. I dati ci dicono che il PD prende sempre e comunque gli stessi voti, anzi ne perde negli anni. In compenso Berlusconi che pur da impresentabile cerca di incarnare i valori della destra cattolica, oscurantista e protezionista, cresce.
Ma non è solo questo. Vorrei fosse solo calcolo politico. Vorrei che l'errore fosse solo strategico elettorale. Ma non è così. LA verità è che la ri-elezione di Napolitano ed il probabile governo di larghe intese che ne seguirà sono un'altra cosa. Sono la vittoria del capitalismo manifatturiero e fordista, o meglio di quel poco che ne rimane, contro una forma nuova, un modello di produzione altro, di capitalismo rappresentato dal duo Grillo-Casalegno. Il capitalismo 2.0. quello che esalta la rete come un dio. Quello che invoca la democrazia diretta come nuovo strumento di potere e di irretimento della volontà popolare. Esattamente acme il fascismo storico utilizzava i media di massa perché chiamato a traghettare le masse nella modernità, il grillismo inneggia al web perché chiamato a traghettare le masse dentro il post-fordismo. Sistema, il fordismo dai bassi salari, rappresentato da Berlusconi e, in modo differente, dal PD. Berlusconi ha i piccoli imprenditori del nord est e la burocrazia del sud mentre il PD si poggia sulle cooperative del centro Italia. Entrambi hanno cercato di evitare il passaggio che ha segnato la fine del paradigma fordista. Persino Blair e Clinton ci hanno provato sostituendo alla produzione di massa la finanza di massa. Hanno fallito. Hanno fallito miseramente innescando alcuni dei processi speculativi che hanno portato a questa crisi. Oggi in parlamento ha vinto il vecchio capitalismo sul nuovo.
Lenin diceva che la democrazia rappresentativa è la gabbia dorata del proletariato...la democrazia diretta grillina è la gabbia in fibra ottica..ma sempre di gabbie stiamo parlando, sia chiaro.
Ma di forze popolari e di sinistra non c'è traccia. È normale che sia così. Siamo ancora fermi al paradigma fordista e veniamo risucchiati nel gorgo che risucchia Bersani ed il PD. Le organizzazioni della classe operaia non esistono perché non vi è classe, o almeno non ve n'è la coscienza e quindi la coscienza organizzata in forme collettive. Forse avremo bisogno, come già è stato, di attraversare tragedia che ci dicano cos'è questa trasformazione drammatica che viviamo. Rileggevo Tasca ieri sera...il fascismo è quel che fa. Io metto il grasso sugli scarponi da montagna....




venerdì 15 marzo 2013

cicatrici




Ecco questo è un post difficile. Per ragioni intime, di dolore profondo. Di quei dolori che non passano. Tutte le ferite si rimarginano ma alcune cicatrici non la smettono mai di fare male. Non fanno male tutti i giorni sia chiaro. E nemmeno fanno male nello stesso modo. Questo, quindi, è un post difficile.
Hanno eletto il nuovo Papa. Io, pur essendo profondamente ateo non posso non interessarmi di chi sia. E chi è lo so. Lo so piuttosto bene. Il Vescovo di Buenos Aires ed ex provinciale della compagnia di Gesù in Argentina. Fu capo dei gesuiti tra il 1973 al 1979, prima di divenire, appunto, vescovo di Buenos Aires. Furono quelli gli anni della dittatura militare dei quasi tremila morti accertati e dei circa 30.000 scomparsi. La gerra sucia, la guerra sporca della destra argentina contro il comunismo. Davvero? No, non fu solo questo e non lo fu per tanti motivi. Intanto sarà bene ricordare a chi se lo fosse dimenticato che il partito comunista argentino appoggiò la dittatura di Videla. E lo fece per il motivo più semplice del mondo: denaro che a quei tempi fluiva verso Mosca in forma di tonnellate di grano a basso costo. L'URSS non era da tempo autosufficiente per via dei disastrosi piani quinquennali e doveva importare grano da mezzo mondo. Condannare il governo argentino che era tra i principali partner commerciali della madre Russia non era possibile. I montoneros furono uccisi e deportati, i sindacalisti, socialisti, radicali, cattolici, trozkisti...qualsiasi forma di opposizione politica fu spazzata via con una ferocia inumana. Non sappiamo quanti giovani vennero lanciati ancora vivi nel oceano dagli squadroni della morte eredi della AAA Alleanza Anticomunista Argentina. Il gruppo GT332 infiltrava, spiava e nella notte venivano a prenderti. Mentre tornavi a casa, mentre andavi al lavoro, mentre facevi la spesa. Sparivi. Inghiottito dall'oceano non prima di essere stato torturato per giorni, settimane. Eppure, almeno inizialmente, il partito comunista non solo non si oppose ma si schierò a favore della dittatura. Nonostante questo io continuo a dirmi comunista. Non perdonerò mai quegli errori ma questo non ha fatto di me un'anticomunista. Ho conosciuto decine di comunisti argentini che hanno lasciato il partito ed hanno rischiato la vita per lottare contro il regime. Ah, giusto per chiarezza, i maggiori sostenitori all'estero del regime di Videla i paesi che più lo hanno appoggiato fornendo al regime istruttori militari, armi e know how erano non solo gli onnipresenti USA ma anche la democraticissima Francia.
In questi giorni si parla del ruolo di Bergoglio, questo il nome del nuovo Papa, durante gli anni della dittatura. Non so se l'attuale Papa abbia commesso dei reati. Davvero non ne ho idea. Ma dirò di più: la cosa, ad oggi, m'interessa relativamente. Christian Federico von Wernich era cappellano della polizia di Buenos Aires. Lui ha materialmente preso parte ai rapimenti e, per questo, è stato condannato all'ergastolo. Non è questa una professione di fede nella giustizia. Non credo in quella tout court figuriamoci in quella latino americana. Però ricordo anche due suore ammazzate perché aiutavano le Madres de Plaza de Majo a cercare la verità sulla scomparsa dei figli. Le due suore in questione erano francesi...ma non credo abbia importanza. Sono state decine i preti e le suore uccisi dal regime perché si sono schierati o perché semplicemente non si sono schierati a favore della dittatura. Uccisero anche un Vescovo, Enrique Angelelli. Per intenderci far parte delle alte gerarchie della chiesa non era garanzia di salvezza. Se ti schieravi contro eri morto. Se non ti schieravi a favore ti sbattevano solo in cella e venivi torturato. Nonostante questo, e quando hai paura di essere torturato e ucciso il nonostante non è poca cosa, furono tantissimi i sacerdoti che si adoperarono per aiutare. Qualcuno finì anche in semi-clandestinità. E non solo quelli che aderirono alla teologia della liberazione. Non è mai stato tutto così netto. Vi erano persone moderate e persino dei sinceri conservatori che lottarono contro la dittatura. Semplicemente perché era una dittatura. Ma la chiesa e non solo quella argentina fu anche altro. In una notte di marzo del 1976, c'è chi dice addirittura la sera prima del golpe,la riunione alla sede della Conferenza Episcopale Argentina a Buenos Aires, tra Videla, Massera ed alcuni alti prelati ci fu. Molti prelati presero le difese del regime, molti altri, forse perché impauriti, decisero semplicemente di non dire e non fare nulla. Io comprendo la paura. È umana, e la chiesa è una cosa divina fatta da uomini. Mi piace l'eroismo ma io stesso non sono un eroe. Mi piace pensare che un uomo che ha fede non dovrebbe temere la morte, ma io da non credente ne ho paura. Quindi non riesco davvero ad accusare nessuno di mancanza di eroismo. Mi sembrerebbe ipocrita. Forse un credente potrebbe farlo. Io non sono in questa posizione. Le paure, dunque, non si giudicano ma le scelte sì. E fu una scelta, una scelta operata da Giovanni Paolo II ed appoggiata e portata avanti dall'attuale Papa quella di distruggere, bollandola come filo marxista (secondo me erroneamente) l'esperienza della teologia della liberazione, di ridurre al silenzio qualsiasi voce critica interna alla Compagnia di Gesù e in generale di relegare la chiesa argentina alla sola predicazione slegandola dalle masse popolari. La stessa scelta fu fatta, in modo ancora più radicale perché più forte era la penetrazione della teologia della liberazione in quei paesi, in Brasile ed in Cile. La chiesa argentina, per assurdo, era sempre stata molto più conservatrice e molti prelati l'appoggio al regime prima ed al piano di Wojtyla lo dettero di propria sponte.
Oggi l'elezione di un papa latino americano serve, anche non solo ma anche, a recuperare quelle masse che si sono votate alle chiese evangeliche che tanto proselitismo hanno fatto lottando contro la povertà in cui i regimi dittatoriali che si sono susseguiti le avevano lasciate. Mi verrebbe da dire un atteggiamento quanto meno bizzarro. Ma in fondo in un momento in cui l'America latina sta sviluppandosi sotto la spinta di governi che, venature di populismo a parte, hanno cominciato a mettere in discussione il dettame del capitale, l'elezione di Bergoglio suona un po' come quella del polacco nel 1978. Se non si interviene ora che i governi democratici son ancora fragili si rischia di essere spazzati via e gli errori del passato debbono essere spazzati sotto il tappeto. L'Europa è perduta in un laicismo senza ritorno, gli edonisti e protestanti USA nemmeno a parlarne. Bisogna tornare ad evangelizzare i poveri dell'America latina che altrimenti rischiano di essere egemonizzati dagli evangelici o peggio di essere conquistati dal demonio socialisteggiante. Chi meglio di un gesuita conservatore? Allora, davvero, non m'importa più di tanto il passato dell'attuale Papa...m'inquieta il piano per il futuro, forse perché puzza ancora troppo di passato, di colonialismo d'imperialismo., di povertà e di botte, di blandizie e di morte.Sarà che da l'altro giorno la cicatrice è tornata a farmi male...

martedì 26 febbraio 2013

minoranze minorate...





Allora la sinistra italiana ha perso le elezioni. Se vogliamo possiamo dire che non le ha vinte. Certo fa meno male dirlo così ma la verità è che le ha proprio perse. Adesso ci si arrampica sugli specchi, non si sa che dire, si cerca di prefigurarsi scenari...possibili ed improbabili. Il PDL perde voti, la Lega non parliamone, la sinistra radicale, in tutte le sue salse, rimane confinata ad una mera testimonianza senza alcun peso. Stamattina ho telefonato ad una specie di amico che per riservatezza chiameremo Franco. Ecco lui nel 1969 era alla nero fumo della Pirelli, organizzava gli scioperi, anche e soprattutto quelli duri, quelli in cui non si andava giù con la ciniglia per dirla in gergo. Poi la scelta della lotta armata, la Brigate Rosse, i fazzoletti rossi alla FIAT fino al rapimento Sossi, all'arresto ed alla galera. 30 anni in tutto. Oggi in preda allo sconforto per le elezioni l'ho chiamato con il mio tono arrogantello da piccolo quadro della sinistra, quale sono stato secoli fa prima di diventare solo uno storico, e gli ho scaricato addosso, nemmeno tanto velatamente, la mia frustrazione. Lui mi ha ascoltato paziente per qualche minuto e poi è giustamente sbottato: “ohy nanin guarda che noi almeno cos'era la classe operaia lo sapevamo! Poi avremo anche fatto le nostre cagate ma con una coscienza!” Seguiva rosario di bestemmie di entrambi...
Eh già la coscienza. Quella politica, quella sociale, tutte mediate irrimediabilmente da una cultura possibilmente condivisa. Ecco credo che sia soprattutto una sconfitta culturale della sinistra italiana quella a cui siamo di fronte. Il voto, si dice da più parti, è un voto di protesta. Un voto contro le misure di austerity che hanno messo in ginocchio le economie del sud Europa negli ultimi 5 anni. Grillo da un lato ed Berlusconi dall'altro hanno conquistato, il primo, e recuperato, il secondo, un considerevole numero di voti proprio facendo leva su questi temi. Intendiamoci il partito di Berlusconi perde una marea di voti, la Lega Nord quasi dimezza, Lombardia a parte dove la partita regionale ha sicuramente influito. Il PD e la coalizione di centro sinistra in generale hanno guadagnato qualche voto a livello nazionale ma molti ne hanno perso, sempre a beneficio di Grillo, nelle regioni rosse. 
Come a dire che anche un elettorato storicamente disciplinato si concede, laddove sa che la vittoria non è in discussione, di esprimere una protesta. Di mettere in dubbio un'appartenenza politica e culturale, in una parola una coscienza. Coscienza vuol dire sapere insieme. In psicologia, ed anche in alcune correnti filosofiche, vuol dire che entrambi i lati del nostro cervello, quello razionale e quello emotivo, si trovano in sintonia. Da qui coscienza di classe, nelle sue diverse accezioni, sociale, civile e quant'altro. Sapere insieme è comunque alla base di tutte queste declinazioni possibili. Ed io credo che stia alla base della sconfitta della sinistra a queste elezioni. Ma non solo a queste. Presumibilmente, a meno di non invertire il trend, anche delle prossime. Perché la sinistra radicale è praticamente sparita dal quadro politico italiano? Perché quella social liberale arranca? Perché non sappiamo più nemmeno cosa sapere ed in questa tenebra d'ignoranza non siamo in grado di stare insieme a nessuno. Siamo divenuti monadi chiuse nell'asfittico orizzonte del presente. Provo a spiegarmi. L'intera struttura politica della classe operaia era basata su questo semplice aggettivo: operaia. Vi era una determinante sociale che faceva da collante e da sostrato comune ad una molteplicità di articolazioni del pensiero che avevano, però, un minimo comun denominatore. Quel minimo comun denominatore, l'appartenenza di classe, era una sapere insieme. Entrambi i lati del cervello erano in grado di comprendere e quindi di esprimere questa coscienza che era non solo sociale ma anche singola, di tutti perché di ognuno. Ora va da sé che questa coscienza produceva forme tutto sommato comuni, al di là dei confini nazionali, di organizzazione. Se il dato centrale, se la determinante sociale, era il modello di produzione la struttura che si doveva/poteva mettere in campo per sconfiggere l'avversario era più o meno universalmente riconosciuta: il sindacato ed il partito. Un partito che era allo stesso tempo coscienza collettiva e strumento di costruzione dell'azione. Oggi a fronte delle modificazioni radicali nella composizione interna del capitale non è, forse, riproponibile lo stesso modello di organizzazione. Ma insieme al collasso delle forme non si è, ovviamente oserei dire, riusciti a tenere insieme le coscienze. Non si sa più insieme. Senza conoscenza qualsiasi azione di contrapposizione è possibile, nessun programma è realizzabile, nessun futuro è immaginabile. Resta la sola desertica gestione di un continuo presente.
Il capitale è riuscito a ribaltare sia la previsione marxiana che quella operaista: ha concentrato se stesso disperdendo i lavoratori. Siamo, quindi, monadi perché non sappiamo mettere in relazione le nostre conoscenze, prime fra tutte quelle sulla struttura del capitale e sulla sua composizione, intrappolate nel presente perché svuotati di questa coscienza abbiamo perso capacità programmatica. Laddove per programmatica bisogna intendere agonistica. E questo, credo, sia il secondo punto. La sinistra ha perso l'agonismo. Senza un'ideologia strutturata che nasca non solo dall'analisi della fase dello sviluppo delle forze produttive ma anche da una riflessione profonda su una possibile e differente organizzazione di queste ultime qualsiasi programma, come dicevamo, rimane monco. La mancanza di agonismo in politica, e su questo accetto le più severe e profonde critiche, distrugge la politica stessa. Insomma non vi è politica senza nemico. I populismi, di qualsiasi natura essi siano, si basano su questo semplice assioma. Forniscono un nemico da combattere sia esso l'immigrato o la casta. Attenzione non sto suggerendo una sinistra populista, sto interrogandomi sul successo di Grillo e sul fatto che quel tipo di cultura abbia sfondato anche a sinistra proprio nel momento storico in cui la sinistra ha abbandonato anche solo la delineazione teorica e pratica del nemico. Non credo si possa ricostituire sic et simpliciter un partito della sinistra di classe oggi. Per il semplice motivo che non conosciamo la classe. Né la nostra né tanto meno quella dominante. Allo stesso tempo questa conoscenza non avviene in maniera accademica ma solo dentro la contrapposizione sociale e le mobilitazioni. Ma chi si mobilita oggi non avendo strumenti analitici di alcun tipo, intendiamoci non per colpa loro ma perché nessuno è in grado di fornire alcuna lettura, rischia di mobilitarsi con delle modalità che potrebbero risultare altrettanto populiste. Per intenderci, come diceva saggiamente un amico a pranzo, se nel prossimo autunno dovessero esserci mobilitazioni sociali per via della non risolta crisi economica sarebbe, nel migliore dei casi, il movimento populista di Grillo ad avvantaggiarsene. Non ho ricette oggi. Non credo le avrò neppure domani. Non so come si fa ma mi rifiuto di pensare che il paese sia irrimediabilmente caduto in preda ad una follia para-fascista di massa. Certo è già accaduto ed io, non avendo una visione progressiva della storia, posso anche mettere in conto che possa accadere ancora. Nel frattempo avremmo sei mesi di tempo durante i quali assisteremo ad una confusione inimmaginabile dalla quale tenteranno di trarre profitto le classi dirigenti, gli speculatori e furbetti di ogni risma. Non è scontato che Berlusconi si metta a far campagna acquisti tra i grillini, così come non è scontato che il giochetto gli riesca. Bersani, forse, tenterà un governo di minoranza. Questo leggevo qualche minuto fa sui quotidiani. Un governo di minoranza mi sembra una formula adatta per una fase del genere. Saremo, probabilmente, rimessi al centro della speculazione finanziaria straniera e nostrana al fine di sopprimere gli ultimi diritti sociali rimasti, una sinistra di minoranza e minorata nella sua ontologia non credo possa rappresentare alcun argine a questo processo. Ah e se vi state chiedendo, legittimamente, ma te che fai in tutto questo? Nulla, mi godo la mia inutilità sociale e politica.

martedì 5 febbraio 2013

come un orso in una gabbia



Sì a volte mi sento un orso in una gabbia. Quello da far guardare ai bambini. L'esempio di come l'uomo ha ammaestrato la natura. Oggi siamo di fronte ad una nuova, e potenzialmente esplosiva, questione di classe e, come sempre, ad un acuirsi della mai risolta questione meridionale. Io sono meridionale e la mia famiglia è senza dubbio alcuno una famiglia di immigrati poveri. Eppure, oggi, dopo anni di studi e di vagabondaggi, io faccio il ricercatore all'Università. Ho dovuto emigrare anche io perché il sistema formativo del paese è stato raso al suolo. Eppure mi sono in qualche modo “elevato” rispetto alla mia condizione sociale di partenza. Per intenderci in Italia i figli di operai non scolarizzati che raggiungono la laurea rappresentano circa il 2 % degli iscritti. Quest'anno gli iscritti diminuiscono e non diminuiscono in modo omogeneo, l'omogeneità non esiste, ma i numeri ci dicono che il tasso di abbandono del percorso formativo è più alto tra chi arriva dalle scuole tecniche, da un punto di vista sociale, e dal sud Italia dal punto di vista geografico. Ecco, l'articolista non ci dice che spesso questi due indicatori si sovrappongono. Sei povero, vieni da un'area povera, ti iscrivi ad un professionale o ad un tecnico perché la prospettiva di lunga durata di una formazione liceale ti spaventa...ed, infatti oggi, la rimani. Alla ricerca di un impiego dequalificato perché l'università costa troppo perché i costi di un figlio fuori sede sono enormi. Perché in fondo chi se ne frega di prendere la laurea...tanto il lavoro non c'è. Quindi tanto vale restare disoccupato e con poca cultura che avere una vasta conoscenza delle ragioni della tua disoccupazione. Che poi capirlo mica ti aiuta a non essere più disoccupato, quindi, tanto vale andare a fare il cameriere con il diploma che con la laurea. Senza dimenticare che se sei al sud d'estate puoi fare lo stagionale e d'inverno qualche lavoretto per il “signore” del paese lo rimedi sempre. E si sa che i signori del Sud la letteratura comparata non l'hanno mai amata tanto. Vi è stato un momento in cui avevano bisogno di avvocati che li mettessero al riparo dalle patrie galere o di commercialisti che mettessero al sicuro i loro patrimoni. Oggi si candidano in parlamento fanno i condoni tombali, cambiano le leggi e via. Vuoi mettere quanti soldi risparmiati?
Mi sembrano passati secoli dal mio esame di 3 media. Avevo la febbre alta quel giorno. Mia madre mi accompagnò intabarrato come se stessi partendo per il fronte sul Volga. Alla fine dell'esame i miei professori di allora consigliarono ai miei genitori di iscrivermi al liceo. Mamma piena d'orgoglio...papà che mi guarda scettico e pensoso. Il liceo? E che se ne fa del liceo chiede ad una segaligna docente di lettere ex militante di Lotta Continua. Quella lo guarda con uno sguardo che allora mi diede un fastidio epidermico e che ho imparato a riconoscere, e ad odiare, negli anni, e gli risponde: beh la cultura è cibo per la mente. Mio padre, che ha sempre dovuto combattere per mettere in tavola il cibo per la pancia la guardò un po' confuso ma alla fine si fece convincere dall'entusiasmo di mia madre a cui, forse, non pareva vero di avere un figlio al liceo. Papà fino all'ultimo mi chiese se non avessi preferito diventare perito. Perito. Quanta storia e quanto orgoglio operaio in questa parola. Mi diceva diventa perito informatico..poi vedrai. Avessi fatto l'idraulico sarei senz'altro più ricco. Il resto è storia, personale, politica e di grandi botte di fortuna. Ecco sì, perché in realtà quasi tutto si riduce a quello. Sono stato sfacciatamente fortunato. Papà ha ceduto, ho incontrato persone molto più intelligenti di me che mi hanno spinto a leggere ed a cercare di capire. Una sola cosa non va via..come un tatuaggio. Io sono povero. Lo sguardo di quella professoressa di lettere della periferia di Milano che guarda mio padre...lo sguardo di alcuni colleghi che mi additano come l'orso in gabbia..come l'esempio che la scalata sociale è possibile ed il mio senso di estraneità ad entrambi i mondi che, a volte, mi fa quasi piacere la gabbia..me la fa quasi desiderare. Poi, però, mi rendo conto che quella è una gabbia. A questo se non altro è servito leggere tutte quelle fesserie...a rendermi conto che sono un orso in gabbia. Gioco con la palla, faccio lo slalom tra i birilli su una biciclettina scintillante in cambio di un favo di miele. Però riconosco la gabbia come tale, i birilli vorrei spaccarveli in testa e la bicicletta vorrei mi portasse via. Se non avessi studiato almeno un poco non ci riuscirei. Sì perché in assenza di istanze politiche che si accostino con rinnovato spirito anche pedagogico ai poveri..quelli accetteranno sempre la loro condizione come naturale. Intendiamoci un povero rimane povero per sempre, lo vedi da molte piccole cose. Avete mai visto come un povero si rimira quando mette un vestito un poco meno dozzinale del solito? Avete mai visto un povero lasciare del buon cibo nel piatto? Se sei povero lo rimani..averne coscienza è, però, il piccolo, enorme passo che ti separa dalla consapevolezza della gabbia.