martedì 7 gennaio 2014

congiunture, crisi e amenità varie...

Il 2014 sarà l'anno della rinascita economica europea...l'hanno detto, promesso, giurato. Peccato lo facciano da almeno 4 anni. Poi la situazione, inesorabilmente, peggiora e le stime di crescita vengono posticipate all'anno successivo. Nel frattempo quest'anno vi saranno le elezioni europee. Il dibattito impazza. Ben 200 intellettuali facenti parte delle più disparate correnti della sinistra europea si scatenano in tentativi di sostenere o demolire la candidatura unitaria del leader greco Alexis Tsipras. La realtà è che nessuno, a parte piccoli personalismi terlizzesi scarsamente degni di nota, ha qualcosa da obiettare alla candidatura del maggior esponente di Syriza. Che il segretario della maggiore coalizione della sinistra greca, forte di circa un terzo dei voti, sia il candidato di un raggruppamento anche vagamente anticapitalista è assodato. Il problema sorge sulla definizione di anticapitalista. Questo, forse, accade perché non siamo ancora riusciti a definire sinteticamente la fase del capitalismo che stiamo attraversando e, di conseguenza, la natura di questa specifica crisi ci sfugge. Molte sono le caratteristiche nuove, o ammantate di nuovo, di questa fase dello sviluppo capitalistico che tracciarne una sintesi è divenuto una sfida nella quale la sinistra rischia di giocarsi non solo la propria identità, come già ampiamente accaduto alla socialdemocrazia, ma persino il proprio ruolo storico, come accaduto a quella rivoluzionaria. Il problema è piuttosto cogente dato che le descrizioni sintetiche sono necessarie alla politica per almeno due ordini di motivi sia come strumento analitico sia per poter trasformare quell'analisi in proposta quotidiana e di lungo respiro, sia tattica che strategica.
Questa, dunque, la fase da un punto di vista soggettivo; una sinistra dispersa e priva di una strategia. Una sinistra che ha vissuto di tattica per alcuni, pochi, anni successivi alla scomparsa del blocco socialista ma che è poi sprofondata nella sconfitta. Una sconfitta che è, come sempre, sia materiale che culturale. E non poteva essere diversamente. Incapace di comprendere i mutamenti profondi delle società ha smarrito la capacità anche solo di costruire cultura alternative al pensiero neoliberista. Nel suo ultimo intervento Negri ha sottolineato come questa tornata elettorale sia di importanza cruciale per la sinistra e di come non ci si potrà rallegrare per l'alto tasso di astensione previsto né tanto meno per l'avanzata delle forze anti-europeiste. Raramente mi è capitato di essere più in sintonia con Negri. Non è infatti rinchiudendosi dentro vecchi scemi nazionali ed a volte nazionalisti che si può oggettivamente pensare di portare una sfida reale ad un capitale sempre più globalizzato. E quelle forze anti-europeiste a cui si guarda come interessanti soggetti con cui dialogare sono spesso composte da elementi contigui al neofascismo che si cela dietro vecchissime coltri quali la non appartenenza agli schieramenti, la lotta contro i privilegi di casta acquisiti, innegabilmente acquisiti, dai partiti. Forse un modo per cominciare, o continuare, a ragionare di crisi e di sinistra è proprio ripartire da quest'ultimo verbo: acquisire. La cosiddetta casta, infatti, non ha guadagnato, non ha neppure conquistato dei diritti o dei privilegi. Li ha acquisiti. L'acquisizione è una forma di redistribuzione del potere autoreferenziale. Una forma di redistribuzione del potere da cui discende la modalità sociale di gestione/accaparramento della ricchezza. Per utilizzare un vecchio adagio caro a Said la modernità sancita dalla Rivoluzione francese ha fatto sì che la ricchezza un tempo legata al diritto di nascita divenisse essa stessa base fondante del potere oramai slegato dal sangue. L'acquisizione delle risorse era un diritto legato al sangue tipico delle società pre-moderne. È stata la rivoluzione francese ad invertire , ad effettuare una vera e propria rivoluzione copernicana, legando il potere al denaro e non viceversa. Il borghese diveniva potente perché ricco. Quello che, mi pare, stia accadendo oggi è una nuova inversione del paradigma; la scossa della rivoluzione giacobina ha permesso una mobilità sociale relativamente breve che è stata poi reiterata più in forme mitologiche che nella realtà delle dinamiche sociali. Da Marx a Bourdieu molti sono stati i pensatori che hanno sottolineato una tendenza del capitalismo, di quello nazionale prima e di quello globale poi, a sfuggire alla mitologia borghese della mobilità delle classi per ricreare un sistema di ceti.
Questa tendenza è divenuta più forte in quei paesi che hanno legato le fortune del proprio sistema economico ad un alto intervento dello Stato come in Italia. Questo intervento infatti se da un lato ha temperato alcune delle storture più inaccettabili del liberismo ha anche assegnato un enorme potere di gestione delle ricchezze, e quindi del potere, ad un gruppo di burocrati che si sono cristallizzati in una sorta di Secondo Stato, se mi si passa la similitudine con il ruolo giocato dal clero nella Francia del XVIII secolo. Vi sono stati degli aggiustamenti e degli scossoni anche forti a questo stato di cose. Scossoni sia chiaro quasi tutti interni alla classe/ceto borghese ultimo dei quali, per quanto riguarda l'Europa occidentale, è stato il movimento del '68. Per la prima volta sul finire del decennio '60 del '900 il meccanismo di reclutamento delle élite tornava ad essere basato sul capitale sociale e non più sulla meritocrazia che aveva contraddistogli anni dell'immediato dopo guerra. La recente apertura degli studi universitari alla maggioranza dei giovani appariva per ciò che realmente era: il reclutamento di tecnici specializzati che sarebbero stati, al massimo, addetti al controllo della produzione ed al superamento del fordismo. Contro questa tendenza si sono scagliati i giovani studenti affiancati per un poco dalla rabbia operaia composta soprattutto da ragazzi meridionali deportati al Nord. Che i primi siano riusciti a soppiantare la vecchia élite mentre gli altri abbiano patito una cogente e storica sconfitta è un dato, ad oggi, difficilmente contestabile. È stata la generazione contestataria e comunque borghese, uscita dalle aule dei principale atenei del paese, a divenire ceto/burocratico che ha materialmente gestito il tramonto del fordismo in economia e la creazione di un sofisticato meccanismo di acquisizione delle risorse pubbliche avviando al contempo i processi di privatizzazione della macchina pubblica con un repentino spostamento non solo di denaro e potere ma anche con una ridefinizione profonda del ruolo della burocrazia e, soprattutto, della politica. Il motivo che sottende questo processo di privatizzazione spiega, ovviamente solo in parte, la natura di questa crisi che è tutta congiunturale e rimane interna al capitalismo.
Questo processo politico a cui abbiamo accennato brevemente è stato accompagnato da una potente campagna culturale che dura da almeno 30 anni rispetto alle meraviglie del libero mercato e dalla necessità assoluta delle privatizzazioni di ogni asset pubblico. Per dirla in termini marxiani, però, questi sono aspetti sovrastrutturali che indicano la direzione in cui guardare se si vogliono comprendere i meccanismi interni dello sviluppo delle forze produttive. Senza andare a rispolverare la caduta tendenziale del saggio di profitto, che pure spiega ancora alcuni aspetti centrali di questo momento storico quali il proliferare di nuovi conflitti a sfondo imperialista, uno degli elementi centrali per comprendere forse un poco meglio questa fase è il concetto di accumulazione originaria. Secondo Marx attraverso l'esercizio del potere politico fu possibile creare le precondizioni necessarie alla nascita del capitalismo come sistema economico e sociale. La trasformazione delle terre comuni in private nell'Inghilterra del XVII secolo ebbe come ricaduta immediata la nascita di un nuovo proletariato, contadini poveri che dovettero mettersi sul mercato come mera forza lavoro una volta privati dell'accesso di sussistenza alle terre comuni, e di un mercato. Quegli stessi contadini che prima potevano ricavare dalle terre comuni alcuni beni di consumo erano, poi, obbligati a comperarli. Secondo Marx questo fu una specie di primo calcio, l'avvio del motore del capitalismo. In quanto tale avrebbe dovuto essere un evento unico e sostanzialmente irripetibile. Come ci insegna Balibar però il capitalismo non è la sola forma di produzione delle merci che esiste ma è solo quella egemone. Contemporaneamente ad esso sopravvivono o si sviluppano forme altre che a volte poco hanno a che fare con il capitalismo in strictu sensu; parimenti nelle sacche create dalle contraddizioni sociali del capitalismo stesso nascono forme di produzione di beni e servizi, come le cooperative, non pienamente capitaliste. In questo caso, senza entrare nel progressivo deperimento del capitale politico e sociale che un tempo era rappresentato dalle cooperative, è interessante soffermarci sul vero core della questione: la privatizzazione di ciò che era, o ancora rimane, patrimonio pubblico. LA privatizzazione, ad esempio, di un ospedale invera in un solo colpo la teoria di Marx sull'accumulazione originaria. Di colpo infatti privatizzando un edificio e tutte le macchine che si trovano al suo interno si procede ad una spoliazione di un mezzo di produzione e si creano una massa di nuovi proletari che dovranno vendere la propria forza lavoro al nuovo padrone. Il processo poi di creazione di un mercato è poi immediata in quanto tutti i cittadini che avevano maturato un pezzo di salario accessorio in forma di welfare stare diverranno di colpo clienti.

La crisi, credo, si possa leggere in questi termini. O almeno anche in questi termini. E se questi sono i termini il mio problema continua a non essere Tsipras o le istituzioni europee ma come, anche dentro ed introno quelle istituzioni siamo in grado di far rinascere il conflitto. Non tanto e non solo perché credo sia una parte ineludibile della politica ma anche solo come difesa democratica datosi che i fautori della fine della storia e della lotta di classe il conflitto lo operano ogni giorno...contro di noi...