lunedì 13 luglio 2015

Nessuno spazio di riformismo

Da qualche anno oramai cerco di comprendere la crisi economica che attanaglia quest’angolo di universo conosciuto con i pochi strumenti che mi sono costruito in anni di peregrinazioni, militanza politica e studi. Sono marxista per formazione e, quindi, ho la tendenza a spiegare la realtà che mi sta intorno affidandomi a quelle categorie; non credo siano sempre infallibili ma non penso siano più fallaci di altre e, fino ad oggi, mi convincono più di altre. Non ho alcuna intenzione di formulare una spiegazione complessiva di questa crisi in un singolo post ma dato che ne ho scritti altri forse un giorno tenterò di raccoglierli. Prima di tutto credo che ci siano da separare alcuni piani del ragionamento che sono almeno 3: uno economico, uno politico ed uno geopolitico. Sono convinto che senza l’analisi e l’intersezione di questi 3 piani poco si capisca di ciò che sta accadendo. Una volta analizzati questi tre aspetti sarà, forse, possibile cercare di tirare delle conclusioni.
La crisi da un punto di vista puramente economico ha a che fare con 3 eventi che si sono alimentati l’un l’altro ed al quale sottende un dato ideologico molto forte. Il primo di questi livelli è legato alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Per via dell’accelerazione tecnologica che abbiamo vissuto negli ultimi 30 anni le imprese si sono ritrovate a dover fare investimenti sempre più massicci in capitale fisso. Per intenderci innovazione sia di processo che di prodotto. Questo erode il saggio di profitto. Le risposte possibili a questo fenomeno sono solitamente almeno 3 ma cerchiamo di analizzare qual è stata la risposta europea: la compressione del monte salari. Dato che le spese per l’innovazione sono, fino ad un certo livello, ineludibili il capitale tenta di rivitalizzarsi, cioè cerca di riacquisire capacità riproduttiva, abbassando i salari. In tutta Europa, infatti, i salari sono scesi a parità di produttività su ora lavorata. Per raggiungere questo obiettivo si è smantellato il welfare, cioè salario accessorio e si sono smembrati i diritti fondamentali primo tra tutti proprio il diritto al lavoro cancellando i contratti a tempo indeterminato.
Meno welfare, che ricordiamolo per inciso è salario, nessuna garanzia contrattuale a fronte di una maggiore produttività per singola ora lavorata. Queste condizioni hanno creato una condizione classica del capitalismo ossia una sovrapproduzione. Almeno dalla prima metà degli anni ’90 del novecento si produceva troppo; in tutti i settori. Basti pensare alla sistematica distruzione di tonnellaggi importanti nell’agro alimentare dettata dalle regole europee per comprendere questo passaggio. La distruzione da solo non basta, però. C’è bisogno di incrementare i consumi. La crisi greca, per fare un esempio, nasce non tanto e non solo da un debito pubblico fuori controllo ma soprattutto da un debito privato gigantesco a fronte di una produzione azzerata. La Grecia, così come il Portogallo ed in parte la Spagna erano e sono paesi a scarsa vocazione industriale; li si è guidati in un triplo salto mortale dal settore primario al terziario avanzato chiedendogli, allo stesso tempo, di consumare di più, sempre di più. Dovevano consumare merci prodotte dai paesi ricchi, attenzione non nei paesi ricchi, anche, ma soprattutto dai paesi ricchi come la Germania. Se il cittadino medio portoghese o greco non ci riusciva gli si veniva incontro con la più antica delle invenzioni: il prestito. Il costo del denaro venne abbassato sempre di più per far sì che i cittadini dei paesi poveri potessero consumare. Questo semplicemente perché altrimenti non si scongiura il rischio della sovrapproduzione. Abbiamo quindi vissuto un decennio con tassi d’interesse molto bassi e prestiti al consumo concessi con grande facilità. A questo ha fatto da contro altare una caduta sempre più rapida sia dei tassi di occupazione che d’industrializzazione. Sempre per poter combattere la caduta del saggio di profitto il capitale è migrato verso lidi più profittevoli; est Europa, paesi asiatici dell’America del Sud e parzialmente verso l’Africa. Attenzione non sono stati soltanto i capitali maturi a optare per questa scelta, non siamo di fronte ad una migrazione che permette di sfruttare macchinari e processi vecchi in paesi vergini. Persino la Cina la cui industrializzazione di massa è decisamente più recente di quella Europea ha cominciato ad produrre in Vietnam e Cambogia onde poter sfruttare salari più bassi. Proprio al gigante asiatico ci si volgeva negli ultimi anni speranzosi che vivesse un boom tale da poter trascinare con sé l’economia mondiale; questo non sta accadendo semplicemente perché, seppur di Stato, quello cinese è un sistema capitalistico e vive le contraddizioni classiche del capitalismo. Ed a queste contraddizioni classiche reagisce in modo altrettanto classico: abbattimento del monte salariale ed imperialismo. Sul primo basti guardare i dati e gli articoli di Yang, Chen e Monarch su riviste quali la Pacific Economic review; per il secondo aspetto aprire il Sole 24 ore un giorno qualsiasi degli ultimi 5 anni e scorrere le notizie dell’espansione cinese in giro per il mondo. Non starò a scomodare Hilferding quindi basti guardare D. Harvey quando nel 2003 parlava di nuovo imperialismo per descrivere la tendenza che il capitale stava prendendo su scala globale. Ma, quindi, che diamine succede? Succede che il pianeta è limitato. Non c’è posto, spazio e risorse per tutti. Lo abbiamo sempre saputo basta entrare alla prima lezione di un qualsiasi corso di micro-economia fatto con un poco di criterio per sentirselo dire. Ora il vero punto, come sempre, sta qui: come distribuiamo la ricchezza che è, appunto, limitata? Chi ha accesso a cosa? E secondo quali regole? La Prima e soprattutto la Seconda guerra mondiale aveva non solo posto fine alle aristocrazie prima ed ai totalitarismi poi, avevano segnato la fine di un pensiero ottocentesco di matrice protestante che incentrava lo sviluppo economico sul pareggio di bilancio. Non lo faceva a seguito di grandi studi economici ma solo perché l’economia che era, a ragione, considerata una scienza sociale doveva conformarsi all’etica. E dato che l’etica del tempo poneva un’enfasi particolare sulla laboriosità ed il risparmio pensando di poter gestire una nazione come una massaia, il pareggio di bilancio era giusto ed etico. Da un punto di vista politico questo voleva dire essere magari sì repubblicani ma era quello un ideale democratico monco; era ancora legato al censo: se lavori e guadagni allora voti. Se sei un fannullone non hai diritto di scelta, oggi accade moltiplicato lo stesso fenomeno: non importa se i cittadini greci hanno votato; sono considerati antropologicamente incapaci di decidere ed è, quindi, giusto che i saggi risparmiatori decidano per loro. Il censo prova la loro inettitudine politica. Ora tra il 1914 ed il 1945 questa follia si è sgretolata sotto il peso di due conflitti mondiali; intendiamoci non sono stati i poveri a fare le guerre. Le guerre le han decise le case regnanti e qualche cancelleria di supposti Reich millenari. Ai poveri è stato chiesto di morire a milioni ed in cambio di questo gli si è concesso il voto. Non la libertà, non l’eguaglianza non uno straccio di diritto reale e materiale; no quelli se li sarebbero dovuti sudare in fabbrica e conquistare con le lotte sociali. Il suffragio universale viene però concesso. Dopo la Seconda guerra mondiale vi era poi il nemico comunista da combattere anche e soprattutto sul piano interno e specialmente in Europa. Qui da noi la retorica puritana del self made man non aveva attecchito poi tanto, i sindacati erano sopravvissuti in qualche modo ai fascismi, i partiti della sinistra prendevano carrettate di voti e soprattutto c’era il modello: il fordismo.
Te lavori 12 ore al giorno ed una parte del tuo salario invece che dartela ti viene trattenuta dallo Stato che in cambio ti offre dei servizi: scuole pubbliche, sanità e pensioni. Oddio non andò proprio così ci furono feroci battaglie ma in fondo eravamo in un momento di crescita e qualche piccola concessione si poteva anche fare: Anche perché investire e far fruttare il capitale fuori dalla sfera occidentale era, allora, molto difficile. Oggi tutto questo non è più vero. La geopolitica aiuta e viene incontro al vincitore del nostro secolo: la borghesia. Gli investimenti si spostano i mercati occidentali rallentano e quelli dei paesi in via di sviluppo non sono ancora abbastanza forti. Che accadde? Nulla stiamo cambiando il modello di produzione solo che mentre l’Europa non è competitiva da un punto di vista di saggio di profitto i paesi in via di sviluppo non sono ancora pronti al 100%. Il capitale stagna ed il saggio di profitto decresce. In Europa quindi cerco di abbattere il monte salari, di rimbalzo c’è un lieve aumento dell’occupazione a condizione ottocentesche, mentre attendo che una serie di paesi, soprattutto Africani, divengano terreno fertile per la riproduzione del capitale. Per intenderci dovete pensare al capitale come ai Panda…farlo riprodurre è un macello, è una bestia esigente: vuole manodopera qualificata e passiva, infrastrutture all’avanguardia ed economiche vuole tasse molto basse e rendite alte; incontentabile insomma.

Ora purtroppo la geopolitica non è una scienza esatta e l’economia men che meno, quindi, tutto questo ragionamento che avrebbe spinto alcuni di voi verso l’Angola in cerca di facili fortune si inceppa su di un punto, sempre quello: il pianeta ad un certo punto finisce ed in Angola a cercare fortuna ci stanno andando tutti. Questo acuisce il problema perché per sconfiggere la concorrenza dei paesi che un tempo erano colonie e che ora si affacciano al tavolo dei grandi avanzando pure pretese, il posto al Sole, mi servono altri denari. Ma ho appena detto che il mio capitale è vecchio e non si riproduce? Dove li trovo altri denari? Il saggio di profitto come l’erezione di un ottantenne cala….ah il vigore dei vent’anni…o degli anni ’20! Dunque dove trovo il viagra..pardon altri quattrini freschi per rivitalizzare il mio vecchio capitale? Facile, dai poveri! Si erano dimenticati di quella massa di disperati accatastati in un angolo in Europa ai quali avevano prestato un sacco di soldi per mantenere alti i loro livelli di consumo. Scusate ragazzi i soldi dovete ridarceli indietro. E se non li avete amen tirate la cinghia c’è la congiuntura internazionale le borse languono ed al capitale non gli tira. Vorremmo mica farci fregare da questi parvenu?  E poi scusate non siete nemmeno più operai fordisti per cui vi stiamo erogando un welfare che non state pagando. Mica possiamo fare regali! Eccola la retorica nazionalista, becera che ricorre a strumenti di terrore come il pareggio di bilancio a percentuali assassine per dirti una cosa semplice: devi soffrire per la patria che a breve ti chiamerà di nuovo a morire. Sono il nemico non un avversario ma con i nemici non si può giungere ad accordi, non ci si parla neppure col nemico. Lo si combatte fino alla fine. Siryza era ed è una forza riformista in un momento nel quale non vi sono spazi di riformismo, pensavano i compagni greci di essere di fronte ad un avversario, stolti. Siamo di fronte al nemico di classe quello di sempre. 

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