lunedì 16 novembre 2015

Paris 13-11

L’unica difesa che abbiamo è restare noi stessi. Così dice Alain Touraine. Non ci difenderemo dal terrore diventando altro da noi, lasciando che la paura ci domini. Giusto da dire; molto difficile farlo. Io mi occupo di violenza e terrorismo da anni, ho intervistato terroristi di ogni colore politico, ho visitato luoghi e stati mentali di disperazione e solitudine assolute cercando di comprendere le motivazioni ultime che spingono un essere umano a pianificare e mettere in atto attentati costati la vita a centinaia di persone; eppure l’altra sera sono rimasto attonito e per molte ore non ho fatto altro se non inveire contro telefoni che non squillavano. Ripetevo ossessivamente lo stesso gesto pur sapendo che non c’era alcuna possibilità che le linee telefoniche mi restituissero altro che un tragico silenzio. Ho sbraitato contro ogni possibile dio e contro gli uomini con lo stomaco attorcigliato mentre tentavo invano di avere notizie dai molti amici che vivono a Parigi. Ed è differente; quando una cosa del genere capita così vicino, a persone a cui vuoi bene lungo strade che hai camminato e posti che conosci e che ami. I morti, per carità, hanno tutti la stessa dignità, Parigi Beirut, i passeggeri dell’aereo russo e tutti gli altri, ed il giudizio politico è lo stesso ma emotivamente è dannatamente diverso. Poi sono passate le ore e lentamente ho ricominciato a pensare; è passato il momento della paura irrazionale ed ho ricominciato a fare la sola cosa che mi riesce: pensare ed a volte scrivere. Questo è stato possibile solo perché nessuno delle persone che amo è rimasto ucciso o ferito. Una cara amica era al Bataclan giovedì sera, un altro ci abita di fronte ed ha dovuto passare la notte fuori casa; un’altra cara amica era a Beirut e cercava di tornare a casa sua a Parigi (lei vince una specie di premio…).
Come spesso mi capita quando non capisco bene le cose, leggo. Leggo spesso. Ieri notte rileggevo alcuni passaggi di Gramsci sulla rivoluzione passiva ed il fascismo. La cultura popolare sulla quale si poggia qualsiasi regime. Non costruisci un regime senza essere profondamente radicato nella cultura del popolo. L’ISIS è un gruppo islamico. Sì, più o meno. Ci sono un miliardo e mezzo di persone di religione islamica nel mondo. Fortunatamente quasi nessuno di loro condivide l’avventura politica della creazione di un nuovo stato che unifichi i vecchi territori del califfato per poi lanciare la guerra santa contro il resto del mondo. Coloro i quali condividono questa visione sono molto pochi ma molto agguerriti. Hanno una visione e la perseguono con tenacia e con ferocia. Siamo passati anche noi attraverso decenni di guerre a sfondo religioso. Poi in realtà non c’era la sola religione bensì complessi equilibri di potere e rapporti di forza. Pur di porre un limite alle mire espansioniste di questa o quella casata ci siamo inventati la territorialità della fede: vivi in un paese il cui principe è protestante? Bene sei protestante pure te. Non ti va bene? Te ne vai. Cattolico il re? Cattolico pure tu. È una semplificazione ma più o meno è andata così; a parte un gruppo di puritani talmente bigotti che gli inglesi li cacciarono a fondare i futuri Stati Uniti (fosse affondata la Mayflower….). Dicevamo, quindi, la religione diventa un fattore che aiuta i futuri stati a darsi un’identità omogenea, a costruire basi anche giuridiche di convivenza. La guerra diviene un affare di Stato e tra Stati. Lo spettro della guerra civile viene allontanato almeno fino alla Rivoluzione francese. Li si trattava di cacciare un Re ed istituire un governo basato su diritti di proprietà invece che di nascita. È la modernità; non è che ti opponi alla modernità e se lo fai sei destinato a perdere. Fosse così facile dovremmo solo aspettare che il fondamentalismo religioso perisse da solo sotto le progressive sorti della storia. Ecco non va per niente in questo modo. Non c’è nessun verso, la storia non ha fini non mira a nulla. Bisogna scegliere. Non c’è causalità ineccepibile nelle vicende umane. Bisogna scegliere. L’ISIS ha caratteristiche profondamente anti moderne ma risponde in maniera contemporanea a sfide presenti e lo fa con mezzi assolutamente efficaci. Migliaia di giovani e giovanissimi che si uniscono alle sue file ogni mese dovrebbero averci fatto aprire gli occhi. L’altra notte hanno vinto. Una battaglia, certo non la guerra ma hanno vinto. Se una ventina di giovani militarmente poco addestrati ma con una ferrea volontà di morte sono in grado di paralizzarci a questo punto: hanno segnato un bel punto. Mentre perdono terreno in Medio Oriente rilanciano; quello che mi spaventa e non sapere quanti giovani partiranno domattina per la Turchia col solo scopo di attraversare una frontiera ed unirsi a loro. Possiamo batterli militarmente ma se non capiamo la cultura che li ha portati fin qui non vinceremo mai. Sono forti? O siamo noi ad essere divenuti deboli? L’altra sera un caro amico mi diceva che vedendo i loro video sembra di guardare un video game: sono cresciuti con Doom, questo è una versione upgrade! È una provocazione sia chiaro ma che avventura stiamo offrendo? Attenzione non dico che si sconfigge l’ISIS offrendo avventure facili ma non sottovaluto la potenza evocativa di una visione; i ragazzi del ’68 sognavano il socialismo, e quelli a cui non fregava nulla della politica di andare sulla Luna! Quali grandi aspettative stiamo creando come società? Cos’abbiamo da offrire? Per cosa rischiare? Per pagare i debiti della carta di credito? Per l’assicurazione sanitaria? Cazzo è tutta la vita che sogno di ammazzarmi di fatica per arrivare, da vecchio, a pagarmi la protesi di titanio all’anca! Sia chiaro cerco di capire; tra la fine del ’44 e la primavera del 1945 furono migliaia i giovanissimi che si arruolarono volontari nelle SS e nella Wermacht. La guerra era persa ma una generazione cresciuta in un mondo socializzato ad una violenza terribile non poteva pensare di non combattere; di non far parte di un’isteria collettiva. Qui di generazioni ce ne sono almeno due che sono cresciute in Medio Oriente sotto le bombe ed in occidente, figli di seconda o terza generazione di emigrati, con lo spettro di un’esclusione sociale perenne.
Ora è chiaro che la politica non può essere solo visione ma deve riuscire a darsi delle gambe sulle quali far camminare davvero i sogni e le aspirazioni. Oggi le gambe però mi paiono essere state pezzate così irrimediabilmente che non è data più nemmeno la possibilità della visione. L’ISIS ha una visione, atroce per molti di noi ma fornisce una risposta: la fede come identità transnazionale che identifica amici e nemici dentro un piano quasi escatologico di rivoluzione globale. Non importa che sia vera fede, importa che quell’idea di fede venga riconosciuta dalle masse come qualcosa di familiare, di rassicurante, come un elemento culturale ancestrale attorno a cui radunarsi. L’ISIS per dirla con Gramsci ha occupato inizialmente le casematte di alcuni paesi incorporando due degli aspetti fondamentali per la creazione dell’egemonia culturale: scuola e religione. Le madrasse, le scuole coraniche, finanziate spesso dai sauditi, in cui le famiglie povere potevano, e possono, mandare gratuitamente i bambini sono state, a partire dagli anni ’90, la pietra angolare delle organizzazioni terroriste. Quello è stato il primo passaggio di vittoria egemonica della loro visione; il secondo è stato l’utilizzo dei nuovi media per far aderire quell’ideologia globale ad una realtà prima virtuale e poi fisica; facebook, twitter, canali tematici di indottrinamento, e dall’ideologia agli affari con gli sharia bond ed i fondi per finanziare attività lecite ed illecite in modo anonimo e puro dal punto di vista religioso. La struttura dell’estremismo è fitta e si compone di centinaia di sigle a livello planetario. Vieni a costruire un impero, immolati per qualcosa di eterno ed invincibile; potranno sconfiggerci oggi ma vinceremo domani e tu sarai un martire immortale. Eccola la promessa: l’immortalità. La stessa di ogni regime totalitario.

L’idea prima dell’individuo, il gruppo, il clan, la famiglia, il partito, la patria…si potrebbe andare avanti all’infinito. E tra i pochi eletti che saranno sempiternamente ricordati: tu! La riscoperta della specificità individuale dentro un progetto millenarista. La stessa dicotomia tra anti modernità e contemporaneità che fa vivere un’ideale globale nel precipitato novecentesco di uno Stato. La religione, da questo punto di vista, non è così centrale; diviene centrale come apparato ideologico e politico. L’ISIS lancia una sfida politica alla quale può rispondere solo la politica. Allora la frase iniziale di Touraine non basta più: non possiamo rimanere quelli che siamo, abbiamo bisogno di ripensare paradigmi di trasformazione e di puntare di nuovo alla Luna ed alle stelle. Poi tutto rimane muto tutto si fa più oscuro pensando al suono delle sirene, all’odore della cordite che rimane nell’aria per ore, al sangue che non lavi via dalla pelle, alla paura che ti fa svegliare la notte a mesi di distanza.

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